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In questo articolo affronteremo la novella Nedda di Giovanni Verga, la prima opera in assoluto scritta secondo i canoni dello stile verista.
Come tutte le novelle del Verga, anche Nedda è una di quelle novelle che “non passano mai di moda” per via della sua attualità straordinaria e per la sua adattabilità a qualsiasi contesto storico contemporaneo e non. Nella novella, infatti, c’è di tutto: amore, morte, fame, povertà, crisi, migrazione…cambiando gli interpreti si potrebbe tranquillamente ambientare ai giorni nostri. Per questi motivi, molti professori di Lettere delle medie e delle superiori tendono a consigliarne la lettura o la affrontano in classe, trasformandola in un compito per gli studenti. I ragazzi (e mi includo anche io in questo discorso perché anche io sono uno studente, anche se rappresento un caso un po’ a parte) spesso non amano la lettura perché si sentono costretti a dedicarle del tempo sottraendolo ad altre attività molto più divertenti. È soprattutto per loro, quindi, che abbiamo prodotto questo riassunto di Nedda di Giovanni Verga, che ora entrerà nel vivo.
Se invece volete approfondire la vostra conoscenza sull’autore, abbiamo anche prodotto un riassunto su Giovanni Verga, che potete consultare qui: riassunto Giovanni Verga

Nedda di Giovanni Verga

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Di cosa parla Nedda?

Nedda (diminutivo di Bastianezza) è una giovane contadina siciliana, impiegata come raccoglitrice stagionale di olive; Verga ce la descrive come “una ragazza bruna, vestita miseramente” e, riguardo al suo carattere, ci dice che ha “quell’attitudine timida e ruvida che danno la miseria e l’isolamento. Nedda è innamorata di Janu, un suo “collega di lavoro”, una altro giovane che come lei lavorava come stagionale nell’uliveto.
La storia di Nedda è caratterizzata, come la tipica storia del tipico personaggio verghiano, da continui lutti e disgrazie: dopo aver perso la madre per colpa di una terribile malattia, sotto gli occhi della povera Nedda muoiono anche Janu, in seguito ad un incidente sul lavoro, e la bambina che aveva avuto da lui, morta a causa della situazione di miseria in cui era costretta a vivere. La piccola, infatti, è affetta dalla nascita da rachitismo, una malattia infantile molto comune negli strati più poveri e diffusissima all’epoca di Verga in ambiente contadino e proletario.

Analisi di Nedda


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Verga pubblica per la prima volta questa novella nel 1874 sulla “Rivista Italiana di scienze, lettere e arti”. Nello scrivere di Nedda, l’autore voleva colpire la sensibilità del pubblico a cui era rivolta (la classe agiata cittadina), voleva impressionarla, raccontando una storia struggente e malinconica in grado di favorire una perfetta catarsi (immedesimazione) nel protagonista. In quegli anni, Verga viveva e lavorava a Milano e il panorama letterario della città era dominato dagli Scapigliati, un gruppo di scrittori molto simile ai “maledetti” francesi. Questi scrittori volevano offrire al lettore un totale cambiamento di prospettiva, raccontando storie al limite dello scandaloso. Verga non voleva tutto ciò: voleva solo mostrare le cose sotto un altro punto di vista, quello della realtà dei contadini siciliani.

L’ambientazione di Nedda è inedita per i tempi. Nessuno aveva mai ambientato un’opera letteraria in un contesto contadino, perché non era considerato dignitoso dal punto di vista letterario. A questo proposito diventa fondamentale l’incipit della novella: l’autore deve raccontare dei fatti che si svolgono in una realtà completamente differente da quella cittadina che offriva la Milano in cui viveva, quindi sceglie di partire a narrare la sua storia focalizzando l’attenzione su un “focolare domestico”, intorno al quale si riuniscono alcune figure e storie che erano perfettamente congrue con la realtà di Verga, ma totalmente sconosciute al pubblico a cui si rivolgeva.

L’incipit è quindi una sorta di “filtro letterario” attraverso il quale la storia passa da un focolare siciliano (quello di chi la racconta, quindi Verga) a un focolare milanese (quello del lettore)

Quanto allo stile con cui la novella si presenta, possiamo notare che ancora mancano parecchie di quelle componenti che caratterizzano il genere Verista, come per esempio il discorso indiretto libero e l’eclissi dell’autore, anzi, nel racconto compare tutta l’indignazione dell’autore: mente illuminata che si schiera a favore dei più umili, costretti a patire sotto i colpi della povertà e della malasorte. Nedda segna anche il totale distacco dai precedenti romanzi giovanili, ricchi di lirica e analisi psicologiche, per raccontare degli umili in maniera umile, semplice e scarna.

La lingua usata non è strettamente il suo dialetto siciliano, ma una specie di koinè italica: una lingua uniformata sul modello del fiorentino parlato in modo che la lettura risulti comprensibile a tutti. Nello stesso tempo, però, Verga gli conferisce la sintassi e lo spirito tipici del siciliano, aggiungendo anche modi di dire. Il risultato è un italiano sicilianizzato, la lingua che, probabilmente, cercavano di parlare i siciliani appena compresi nell’unità d’Italia.

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