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Dopo aver riassunto e commentato l’introduzione dei Promessi Sposi, entriamo ora nel vivo del romanzo. Riassumiamo il primo capitolo dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, quello che parte con il famosissimo incipit “Quel ramo del lago di Como che volge a Mezzogiorno…”. Il primo capitolo, capitolo diciamo “proemiale”, completa l’introduzione  fornendo il quadro generale dell’ambiente in cui si svolgerà l’intreccio dei fatti. Con ambiente si intende sia l’ambiente geografico (Quel ramo del lago di Como…), sia storico-sociale (la Lombardia seicentesca dominata dagli Spagnoli, evidenziata dalle due digressioni storiche), segue dunque l’introduzione del personaggio di Don Abbondio, emblema dell’uomo seicentesco. Vedremo questi ed altri punti in questo riassunto del primo capitolo dei Promessi Sposi.
Prima di iniziare, ci tengo a dire che quest’opera è poco apprezzata dai giovanissimi, perché sono costretti a studiarla, ma nel prosieguo della vita molti hanno deciso di rileggerla e ne sono rimasti molto affascinati, questo perché la maturità di una persona adulta è molto più sviluppata rispetto a quella di un adolescente a cui frega poco e niente di storia ed ideali.

Riassunto capitolo 1 Promessi Sposi
Don Abbondio e i Bravi

Riassunto e commento capitolo 1 Promessi Sposi

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È il 7 novembre del 1628, ci troviamo in quella parte di campagna lombarda situata intorno alla città di Lecco. La descrizione di Manzoni, abile come uno dei migliori registi cinematografici, parte dal generale, parte dal lago e tocca i monti, l’Adda, il Resegone, la città (o meglio il grande borgo) di Lecco, la campagna e una stradicciola che conduce a un villaggio. La Lombardia è ormai da più di un secolo una terra appartenente all’impero Spagnolo, perciò a Lecco risiede, o meglio “ha l’onore di alloggiare” un comandante spagnolo che può vantare di possedere una stabile guarnigione di Lanzichenecchi spagnoli. Questi soldati offrono tantissimi servigi alla gente di quelle zone: “insegnano la modestia” alle donne e alle fanciulle, “accarezzano le spalle” ai padri e ai mariti e alla fine dell’Estate si recano alle vigne per “alleggerire a’ contadini le fatiche della vendemmia”. Che carini, direte voi, ma in realtà sono mostri senza scrupoli e vivono vessando la povera gente; Manzoni, che è un maestro dell’ironia antifrastica, ci rende alla perfezione questa situazione.

Torniamo alla nostra stradicciola: il sole si sta avviando a tramontare e un modesto pretello di paese se ne sta tornando a casa dopo la sua passeggiata pomeridiana leggendo il suo breviario: È Don Abbondio, il curato del borgo che si trova alla fine di quel sentiero. Ad un certo punto, in corrispondenza di un’edicola sacra di quelle che spesso si trovano in campagna, la stradina si biforca e il nostro prete alza gli occhi dal suo libretto. Vede che ci sono due loschi figuri che lo guardano in un modo strano, proprio come se stessero aspettando proprio lui: In effetti è proprio così: essi sono due bravi che fanno parte dell’esercito privato di don Rodrigo, il signorotto spagnolo del borgo di cui don Abbondio è il curato. 

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A questo punto si apre la prima digressione a carattere storico, che è anche la prima di tutto il romanzo. Ce ne saranno molte altre, alcune occuperanno anche interi capitoli. Si tratta di uno dei topoi del genere letterario del romanzo storico, genere che mescola eventi realmente accaduti e documentati e invenzioni dell’autore. Questa in particolare riguarda il fenomeno dei Bravi e le “gride”, gli inutili interventi del governo spagnolo per estirparlo. Le gride, citate direttamente così come sono state scritte dall’autore, sono un perfetto esempio dell’ampollosità barocca seicentesca; ciò è un esempio di come il linguaggio della giustizia può essere usato per creare confusione nella povera gente (la stragrande maggioranza della popolazione non sapeva né leggere né scrivere, questi interventi venivano urlati nelle pubbliche piazze. Per esempio, a Vinovo, in provincia di Torino, paese ahimè tristemente famoso per essere il quartiere generale della Juventus, esiste ancora la “Piazza delle gride”, che costituisce il centro di questa cittadina). Manzoni, sfruttando ironicamente la tecnica dell’elencazione e dell’accumulo, evidenza un aspetto fondamentale: nessuna di queste “leggi” è davvero riuscita e estirpare il problema, perché questo fenomeno in realtà faceva comodo alla classe dirigente spagnola. In questo modo, infatti, la popolazione era terrorizzata e quindi più facile da governare. Il fatto che Manzoni scelga proprio questo periodo della storia Lombarda, in qualche modo si può leggere anche in chiave risorgimentale: la Lombardia spagnola ricordava molto la Lombardia austriaca in cui vive, dominata dal sentimento antiaustriaco e costellata da insurrezioni e rivolte.

I due bravi comandano ad Abbondio che il matrimonio, che il curato avrebbe dovuto celebrare il giorno successivo, tra Renzo Tramaglino e Lucia Mondella non doveva essere celebrato: “Questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai”. Per completare l’opera, aggiungono anche il nome di Don Rodrigo, che fa gelare il sangue al povero prete, il quale non può che piegarsi al volere di quei due “… Disposto… disposto sempre all’ubbidienza.”.

Personaggi capitolo 1 Promessi Sposi: Don Abbondio

Si apre quindi la seconda grande digressione del capitolo, quella dedicata alla figura di Don Abbondio. Abbondio, come ci dice Manzoni, “non era nato un cuor di leone” e per questo ha scelto di diventare prete. In un mondo dominato dalla legge della giustizia privata, dove solo se sei potente e hai un esercito privato ti salvi, dove ogni rapporto sociale è affidato all’arbitrio dei potenti al punto che “l’impunità è organizzata” e coloro i quali dovrebbero far rispettare la legge sono conniventi coi potenti e si dimostrano forti coi deboli e deboli coi forti, l’unica salvezza per la povera gente sta nell’organizzarsi in classi, in caste, e il clero è una di queste. Don Abbondio, quindi, diventa prete non per vocazione ma quasi per necessità: diventando prete, entra a far parte di una classe rispettata, privilegiata, ricca e riverita, alla quale tutti si inchinano. La digressione ci è utile per comprendere il concetto Manzoniano di storia violenta e avversa.

Significativa è a questo proposito la metafora secondo la quale don Abbondio si trovava “come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro”. Don Abbondio, divenuto prete per proteggersi, mette in piedi una psicologia tutta sua, quella della “neutralità disarmata in tutte le guerre”: in un confronto tra parti, egli tende a non schierarsi, e se proprio deve cerca di mettersi con il più potente, in modo da non avere nessun problema. In questo modo era arrivato ai sessant’anni. Abbondio detesta quei suoi confratelli che si ostinano a prendere le parti dei più deboli e degli oppressi.

Don Abbondio

Il povero prete quindi, sconvolto da quanto accadutogli, non trova altra soluzione che correre a casa, non trovando altra via d’uscita che la recriminazione nei confronti dei poveracci che si sta apprestando a tradire. Con estremo vittimismo, Abbondio li definisce “ragazzacci, che, per non sapere cosa fare, s’innamorano, voglion maritarsi, e non pensano ad altro…”.

Entrato a casa, trova ad aspettarlo la sua cara e amata serva Perpetua, con la quale, non senza riserva, non può fare a meno di confidarsi, raccomandando comunque di mantenere il segreto perché “ne va…ne va la vita!”. Perpetua, che per non saper né leggere né scrivere ha una sua etica e una sua intelligenza, suggerisce al suo padrone quella che è la soluzione migliore: scrivere una bella lettera al suo superiore, il cardinal Borromeo, per chiedere protezione, del resto è diventato prete per questo. Vince però la paura e don Abbondio, dopo essersi nuovamente raccomandato con Perpetua di mantenere il segreto, non può far altro che ritirarsi nelle sue stanze.

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