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L’Eneide di Virgilio è la più importante opera dell’epica latina e, probabilmente, è anche l’unica veramente degna di nota. La civiltà romana non è stata molto prolifica dal punto di vista della poesia epica, soprattutto perché si occupava fondamentalmente di “altro”: i latini erano grandi ingegneri e militari, ma dal punto di vista letterario e culturale dipendevano molto dai loro vicini greci. Prima di entrare in contatto con la civiltà ellenica, infatti, i romani erano fondamentalmente una tribù di selvaggi, non più raffinati dei Galli o delle popolazioni germaniche.

Quando poi, con la conquista della Campania e le guerre Tarantine, Roma penetrò nell’Italia meridionale, dove da secoli c’erano le colonie della Magna Grecia (sono stati loro a chiamarla così, la “grande Grecia” che era il sud Italia), rimase folgorata dal grado di civiltà che avevano gli abitanti di quelle terre. Le guerre, si sa, nell’antichità portavano schiavi e gli schiavi che i Romani deportarono da queste guerre a Roma diventavano gli insegnanti dei figli delle famiglie più ricche. Fu da quel momento che i Romani iniziarono ad avere una cultura: uno di questi schiavi greci, di nome Livio Andronico, viene considerato addirittura il “padre della letteratura latina“. Fu lui a portare la poesia a Roma e la tradizione dell’epica greca, traducendo in latino l’Odissea.

Eneide Riassunto

Quando è stata scritta l’Eneide


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Come stiamo per vedere in questo riassunto dell’Eneide, l”Eneide nasce in un periodo d’oro per Roma: quello del regno dell’imperatore Ottaviano Augusto. Il princeps voleva un’opera che esaltasse le origini divine di Roma e che esaltasse anche le sue di origini divine (secondo la tradizione, la famiglia Iulia, a cui apparteneva Ottaviano, discendeva direttamente dalla dea Venere, dalla cui unione con il principe troiano Anchise nacque Enea, protagonista dell’Eneide). Incaricò quindi il suo fidato amico Mecenate (nome diventato poi sinonimo di protettore di artisti) di andare in giro per i circoli poetici a cercare un poeta che fosse degno a tale scopo; girando e girando, un giorno si trova in uno dei circoli dei Poetae Novi quando ascolta un giovane poeta (dico giovane ma in realtà ha più di trent’anni) che declama i versi della sua ultima opera, un meraviglioso esempio di poesia bucolica.

Mecenate rimane folgorato da questo ragazzo e lo vuole subito conoscere: si chiama Publio Virgilio Marone ed è originario della Gallia Cisalpina, precisamente delle campagne presso Mantua (Mantova) e quei versi erano tratti dalle sue Ecloghe (o Bucoliche), un’opera in cui racconta la vita nella sua campagna. Mecenate lo segnala subito al suo amico e imperatore e Ottaviano, che dell’amico si fida ciecamente, versa enormi quantità di sesterzi nelle tasche del giovane Virgilio e in meno di 10 anni l’opera è completa. Il risultato è l’Eneide, un’opera straordinaria di cui ora vi faremo il riassunto.

C’è da dire una cosa, però: secondo la leggenda, a Virgilio non piaceva l’ Eneide e una volta finita la voleva distruggere, ma per la felicità di noi che dobbiamo studiarla Mecenate la salvò e la fece pubblicare. Nel frattempo Virgilio era morto di malattia al ritorno di un viaggio in Grecia, quindi non poté opporsi alla pubblicazione di quello che poi verrà ricordato come il suo capolavoro

Riassunto Eneide 

L’Eneide è un poema epico in dodici libri di esametri latini composto da Virgilio tra il 29 e il 19 a.C.

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Leggendo questo ci saltano subito agli occhi le differenze tra quest’opera e i poemi epici omerici. Innanzi tutto la lunghezza: Iliade e Odissea sono composte di 24 libri, il doppio di quelli dell’Eneide; tutto ciò ha un motivo: l’appartenenza di Virgilio alla scuola dei poetae novi, i quali facevano della brevitas (brevità) la caratteristica principale delle loro opere, che erano molto brevi ma curatissime dal punto di vista stilistico e contenutistico. Seconda differenza tra Eneide e poemi omerici, l’autore: Publio Virgilio Marone, lui e nessun altro, è l’autore dell’Eneide ed è un personaggio realmente esistito la cui esistenza ci è documentata; Omero  non si sa se sia mai esistito ma di certo non è l’autore dell’Iliade e dell’Odissea, che sono opere prodotte nei circa quattro secoli del Medioevo Ellenico dalla tradizione orale della collettività del tempo. La composizione dell’opera, inoltre. ha richiesto all’autore all’incirca dieci anni, un tempo decisamente minore ai quattro secoli di gestazione dei poemi omerici. Terza considerazione: i poemi omerici erano opere spontanee, costruite sugli interessi dei fruitori, mentre invece l’Eneide è stata fin da subito un’opera prima, un lavoro individuale prodotto su commissione.

Protagonisti dell’Eneide

Enea

Il protagonista dell’Eneide è Enea. Enea è un personaggio minore dell’Iliade e già nel poema omerico compare come un eroe protetto dagli dei e destinato a un grande avvenire. Nell’Eneide, Enea, in fuga da Troia con pochi superstiti, è costretto da una tempesta ad approdare sulle coste dell’Africa. Lo accoglie Didone, regina di Cartagine (libro I), alla quale racconta la caduta di Troia, la fuga con il padre Anchise e il figlio Iulo (libro II), e il lungo viaggio verso l’Italia (libro III).  Didone, innamoratasi follemente di Enea, cerca di trattenerlo a Cartagine, ma quando Giove gli ricorda la sua missione Enea non può fare altro che riprendere il viaggio.
Enea, infatti, è il prototipo dell’eroe latino, il quale è caratterizzato dal pacchetto dei valori della Pietas. La parola latina “pietas” designa l’amore di un figlio verso il proprio padre, in effetti l’immagine simbolo con cui viene di solito ritratto Enea è mentre fugge da Troia in fiamme con il padre Anchise sulle spalle, ma la Pietas non è solo questo, è molto di più: l’eroe “pius”, modello che Enea incarna alla perfezione, oltre a essere impavido, sprezzante del pericolo, prestante e invincibile in battaglia è anche puro di cuore, devoto agli dei, alla patria e al proprio comandante. Per questo motivo quando Giove, attraverso Mercurio, gli intima di lasciar perdere Didone, tornare sul pezzo e portare avanti la missione a cui è destinato, Enea non ha altra scelta se non quella di obbedire.
Enea, quindi, se ne va quasi senza neanche salutare e la regina, disperata e completamente impazzita, dopo avere maledetto lui e la sua discendenza per bene (preannuncia a Enea che una volta giunto nel luogo prestabilito dovrà combattere duramente per ottenerlo e morirà prima di veder compiuto il suo destino e come se non bastasse, preannuncia che la sua discendenza e quella di Enea saranno acerrima nemiche e si combatteranno fino a quando una delle due non sarà totalmente distrutta, una profezia post-eventum delle Guerre Puniche) si uccide (libro IV).

Enea sbarca in Sicilia

Sbarcato in Sicilia, l’eroe celebra i giochi funebri in onore del padre (libro V). Si reca poi a Cuma, dove consulta la Sibilla. Insieme a lei scende agli Inferi, dove incontra l’anima di Didone (e si ha un clamoroso capovolgimento di fronte quasi a conclusione del conto lasciato in sospeso nel libro IV), quella della moglie Creusa, morta durante l’incendio di Troia e quella del padre Anchise, che gli preannuncia il destino glorioso di Roma e la sua missione nella storia, cioè quella di dominare il mondo (libro VI). 
Giunto alle foci del Tevere, Enea riconosce che quella è la terra destinatagli e stringe alleanza con il re del luogo, Latino, chiedendogli in sposa la figlia Lavinia. c’è però un problema (libro VII): Lavina è promessa sposa di Turno, re della popolazione italica dei Rutuli. Turno minaccia guerra a Enea, intimandogli di lasciar perdere Lavinia e la terra del Lazio e di tornarsene a casa sua (sembra qualche personaggio politico del momento, o no?). Enea ovviamente deve seguire il suo destino quindi accetta la guerra: Turno mette insieme una coalizione di eserciti italici (ci sono gli Etruschi Mezenzio e Lauso, Messapo,  figlio di Nettuno e progenitore del popolo dei Messapi; Clauso, progenitore della famiglia Claudia e le sue feroci schiere, Aventino figlio di Ercole e, in ultimo, i volsci guidati dalla vergine Camilla), mentre Enea risale il Tevere e trova un alleato in Evandro, re degli arcadi (una stirpe greca insediata nel Lazio). Evandro gli mostra i luoghi dove sorgerà Roma e gli offre l’aiuto del figlio Pallante (libro VIII).
La guerra è strenua e feroce, perché gli dei, come al solito schierati con una o con l’altra parte, intervengono e allungano i tempi del combattimento (un po’ come nella guerra di Troia). Una notte, vicino all’accampamento troiano assediato da Turno, muoiono i due giovani troiani Eurialo e Niso, scoperti mentre cercavano di portare avanti un attentato ai danni di Turno (libro IX). Gli dei, quindi, decidono di sospendere ogni intervento nella guerra e di lasciare libero corso al volere del fato: Pallante viene ucciso da Turno mentre Enea uccide Lauso e Mezenzio (libro X). Celebrato il funerale di Pallante, si scontrano le cavallerie nemiche e rimane uccisa Camilla (libro XI). L’Eneide si conclude con il duello definitivo tra Turno e Enea, in cui quest’ultimo ha la meglio e uccide il nemico (libro XII). A quel punto, il destino può finalmente fare il suo corso e Enea può dare origine alla stirpe romana.

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