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Mastro Don Gesualdo è un celebre romanzo del noto letterato italiano Giovanni Verga. Seconda opera per importanza perché si tratta del secondo romanzo “maggiore” dell’autore, non perché voglio fare delle preferenze o per altri motivi.
Come tutte le opere del Verga, anche Mastro don Gesualdo è un bellissimo esempio di letteratura verista, ma questa volta, a differenza dei Malavoglia, il centro dell’indagine è un po’ spostato dalla realtà della campagna e più concentrato sulla vicenda del protagonista, che dopo aver intrapreso una “scalata sociale” alla fine dovrà assistere impotente al suo crollo personale. Vedremo meglio tutto in questo Riassunto di Mastro Don Gesualdo. Quest’opera non è una semplice opera letteraria, ma descrive la storia di migliaia di persone che dal nulla hanno ottenuto ricchezza, e poi si son montati la testa e sono finiti in disgrazia.

Riassunto Mastro Don Gesualdo 

Mastro Don Gesualdo Riassunto

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Mastro Don Gesualdo è il secondo romanzo del ciclo dei vinti e viene pubblicato per la prima volta tra il luglio e il dicembre del 1888. All’inizio esce all’interno della rivista “Nuova Antologia”, che già aveva in precedenza ospitato alcune opere del Verga, e successivamente viene pubblicato in volume.

Il romanzo è diviso in quattro parti e si apre in un modo molto particolare: i letterati e i critici, cosa che noi non siamo, dicono che si apre in medias res, “in mezzo alle cose”. In effetti è proprio così, la narrazione non inizia dal principio ma inizia in un momento particolare dello svolgimento dei fatti. Non è l’unico esempio in letteratura di inizio in medias res, perché se ci fate caso si aprono in questo modo anche l’Odissea di Omero e l’Eneide di Virgilio (che iniziano allo stesso modo: l’eroe giunge a una corte straniera e il sovrano gli chiede di raccontargli la propria storia. Quindi parte un lungo flashback in cui il protagonista, Odisseo o Enea, racconta tutto quello che gli è capitato dall’inizio fino a quel momento) e nella letteratura più moderna Uno, Nessuno e Centomila di Pirandello.

I personaggi di Mastro Don Gesualdo

Mastro don Gesualdo, quindi, si apre in un punto particolare della vicenda, un “colpo di scena” che immediatamente ci catapulta nella realtà degli avvenimenti: succede infatti che scoppia un incendio alla casa della famiglia Trao, dei nobili decaduti, e tutto il paese (Vizzini, nella campagna tra Catania e Ragusa) accorre per sedare le fiamme. In mezzo al caos generale, poi, Don Diego Trao viene a scoprire anche una presunta storia tra sua sorella Bianca e suo cugino don Ninì Rubiera, ma questa è un’altra storia e ci interessa poco…o forse no? Lo scopriremo andando avanti con la storia

Tra i vari personaggi che giungono in soccorso, c’è anche un tale Gesualdo Motta, un ex muratore che si era arricchito lavorando molto duramente e tenendo un’etica del lavoro quasi simile a uno Stakanovismo ante litteram. Grazie alla fortuna che aveva raccolto, inizia a dedicarsi all’attività imprenditoriale diventando a tutti gli effetti un borghese. Questo è il primo gradino della scalata sociale che il nostro Gesualdo compie durante il romanzo.

Il Prosieguo del Riassunto

A questo punto, capiamo il motivo per il quale Verga ha deciso di intitolare il suo romanzo in questo modo: il “coro popolare”, che si occupa di svolgere la funzione di narrare i fatti e che già era presente nei Malavoglia, definisce il Motta “Mastro-don Gesualdo”: “mastro” allude alla professione di muratore e quindi al lavoro manuale, con una connotazione dispregiativa, “don”, invece, si riferisce al nuovo status di “borghese” che Gesualdo raggiunge e che si è guadagnato grazie alla sua abilità professionale. Per quale motivo anche il “mastro-don” allora accorre e si sporca le mani per sedare l’incendio della casa dei Trao? Il motivo è molto semplice e banale: era un loro vicino di casa e le fiamme stavano minacciando anche la sua abitazione. La prima parte si conclude con una descrizione del personaggio di Gesualdo.

Qualche giorno dopo l’incendio, e nel frattempo parte la seconda parte del romanzo, Gesualdo viene invitato ad un ricevimento a casa di alcuni parenti dei Trao. Gesualdo è promesso sposo di Bianca Trao, quella di prima che era stata beccata dal fratello a letto col cugino, anche se non viene visto di buon occhio dalla nobiltà del paese per via del suo passato da muratore e per i suoi modi non proprio signorili. La seconda parte continua con la descrizione di un giorno abituale della vita di Gesualdo

Il matrimonio è una scelta molto utilitaristica: sposando una nobile, Gesualdo diventerebbe nobile a tutti gli effetti e questo gli permetterebbe di avanzare molto nella sua ascesa fino all’apice della scala sociale; così come utilitaristiche sono anche gran parte delle scelte che compie nel corso della sua vita: più tardi, Gesualdo viene coinvolto nella costruzione di un ponte e spera di ottenere il supporto dei personaggi più importanti del paese per concludere un affare fondamentale per la riuscita dell’impresa. A quel punto però la situazione si scalda e viene investita dalla Storia: nel 1820 scoppiano a Palermo i primi moti rivoluzionari e il movimento carbonaio dal capoluogo si diffonde in tutta l’isola, anche nel paese di Gesualdo, il quale si reca ad alcune riunioni dei carbonari solo per tutelare i suoi averi. In questo modo, però, mette a rischio la sua posizione e deve rifugiarsi presso Diodata, la sua ex serva ma anche la sua amante, la quale gli aveva dato due figli ma che Gesualdo si rifiuta di sposare sempre per motivi utilitaristici. Nel frattempo, Bianca, che continua ad amare il cugino don Ninì, dà alla luce una bambina, Isabella, probabilmente figlia di quest’ultimo. Don Ninì è un personaggio alquanto basso: è un donnaiolo e grande scialacquatore, al punto da indebitarsi persino con Gesualdo.

Nella terza parte del romanzo, Isabella, cresciuta, viene mandata in collegio dove viene presa di mira dalle compagne a causa delle sue origini poco altolocate. Quando torna a casa a Vizzini in seguito a un epidemia di colera, si innamora del giovane Corrado, povero e orfano; il padre, che vede nella figlia soltanto uno strumento per avanzare ancora di più nella sua scalata, impedisce questa relazione e costringe la povera Isabella a contrarre matrimonio con il duca di Leyra, un nobile molto influente di Palermo. A quel punto, e inizia la quarta parte, la crisi familiare e sociale del mastro-don ha inizio e lo porterà di lì a poco a precipitare dalla scala sulla quale era salito: la moglie Bianca si ammala di tisi e di lì a poco morirà e gli affari sprofondano a causa delle trame occulte dei potenti del paese. Come se non bastasse, ci si mette di mezzo anche la Storia: i moti del 1848 segnano l’inizio della fine della potenza di Gesualdo. Durante i moti, dai quali si dissocia al contrario dei suoi concorrenti che si schierano subito a favore per essere pronti a salire sul carro del vincitore, vengono assaltatati i suoi magazzini e la sua ricchezza  finisce in fumo. Nel frattempo il disgraziato Gesualdo si ammala anche di un cancro terribile e incurabile ed è costretto a chiedere ospitalità al genero nel suo palazzo a Palermo, dal quale assisterà passivo al definitivo crollo di tutto quello che aveva creato e anche della sua stessa persona. Gesualdo quindi muore solo e povero.

Spiegazione di Mastro don Gesualdo


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In questo romanzo, si assiste a un clamoroso capovolgimento di tematiche rispetto al precedente capitolo del ciclo dei vinti. Il personaggio antimoderno di Padron ‘Ntoni, caratterizzato da valori antichi come la “religione familiare” e il legame con la casa e la terra tipici dei contadini viene sostituito dal mastro-don Gesualdo Motta, che al contrario incarna perfettamente tutti i tratti tipici del moderno borghese imprenditore appartenente a quella classe che, soprattutto nel Sud Italia e in Sicilia ancora di più, tra il 1820 e il 1850, anni in cui cominciano a diffondersi anche gli ideali rivoluzionari che incontriamo anche nel romanzo, si contende la ricchezza con la vecchia classe dei nobili latifondisti. 

In questo mondo, il “valore” che va via via affermandosi è quello della “roba”, come già abbiamo potuto vedere nella novella che porta questo titolo, la quale funge proprio da tramite (come abbiamo scritto nell’articolo dedicato, che potete consultare qui: “La Roba”) tra i Malavoglia e Mastro don Gesualdo. L’accumulo di “roba” diventa l’unico scopo di vita della nuova classe sociale e a dominare, quindi, sono i nuovi valori dell’utilitarismo borghese, dei quali Gesualdo Motta è un perfetto portatore. Assistiamo anche a un terribile fenomeno di Darwinismo, in cui è il più forte a sopravvivere.
Dal punto di vista retorico e stilistico, Mastro don Gesualdo presenta alcune differenze sostanziali dai Malavoglia, in primis la funzione del coro popolare. A causa delle dinamiche molto più complesse, il coro non è l’unico narratore, si alternano infatti punti di vista e piani di narrazione molto diversi tra loro; allo stesso modo, l’uso del discorso indiretto libero soprattutto sulle parole del protagonista si accosta a interventi particolari del coro popolare, molto sarcastici e grotteschi, che evidenziano e sottolineano perfettamente gli aspetti più assurdi di questo nuovo mondo schiavo della “roba”.

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