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La Divina Commedia è l’opera letteraria più grande e bella della letteratura italiana, e siccome sono poche le letterature che possono essere paragonate alla nostra (forse quella tedesca o quella francese possono reggere il confronto), oserei dire che la Divina Commedia è il più bel libro che sia mai stato scritto nella storia della letteratura occidentale e forse mondiale, probabilmente solo la Bibbia e forse qualche poema epico indiano come il Mahabharata possono essere paragonate a questo gran libro.

Quest’opera è così importante che si studia a tutti i livelli scolastici: dalle elementari fino alle superiori, dove il suo studio occupa tutto il Triennio: di solito, infatti, nel terzo anno si affronta l’Inferno, nel quarto il Purgatorio e nell’ultimo il Paradiso. Questo riassunto generale della Divina Commedia, quindi, è rivolto soprattutto agli studenti che sono costretti ad affrontare un’interrogazione o una verifica, ai maturandi che dovranno produrre un tema o sostenere l’esame orale ma anche a tutti coloro che vogliono in qualche modo ritornare a vedere quali sono le principali caratteristiche della Divina Commedia.

Perché la Divina Commedia si chiama così

Divina Commedia

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La Divina Commedia è il capolavoro di Dante Alighieri (per approfondire, abbiamo anche prodotto un riassunto su Dante Alighieri), il quale ha dedicato gran parte della sua vita alla sua produzione. La stesura dell’opera occupò tutto il periodo che il sommo poeta visse in esilio, dal 1305 al 1321, anno della sua morte.

Dante aveva intitolato la sua opera semplicemente Comedia, perché effettivamente l’opera apparteneva a quel genere che la retorica medievale definiva “comico”, e ne spiegò le ragioni nell’epistola XIII indirizzata a Cangrande della Scala (nella quale gli comunicava l’intenzione di dedicargli il Paradiso e alla quale accompagnava la presentazione dei primi versi della cantica): l’opera è una comedia perché la vicenda narrata evolve da un inizio pauroso (la “selva selvaggia e aspra e forte”) a una conclusione lieta (la visione di Dio che con il suo amore muove l’universo intero) e perché si è decisa l’adozione di uno stile umile e dimesso, e della lingua volgare, per raggiungere il pubblico più vasto. L’opera, infatti, secondo le intenzioni di Dante, aveva lo scopo di indicare all’umanità il percorso di liberazione dal peccato.
L’aggettivo “divina” associato alla Commedia fu utilizzato per la prima volta da Boccaccio nella sua biografia dantesca ed entrò definitivamente a far parte del titolo del poema a partire da un’edizione a stampa del 1555.

Struttura della Divina Commedia

La struttura della Divina Commedia

La Divina Commedia è un poema, cioè una grande opera scritta in versi. I versi di cuoi è composto questo poema sono endecasillabi, sono quindi versi formati da undici sillabe. I versi sono organizzati in terzine a rima incatenata (che segue quindi questo schema metrico: ABA BCB CDC e via dicendo) 

La struttura della Commedia è assai articolata e complessa: è ricca di allegorie, simmetrie e parallelismi basati sui numeri tre (numero della Trinità) e dieci (numero perfetto) e sui loro multipli. Ad esempio, tre sono le cantiche della Commedia, ciascuna è composta da 33 canti (il primo canto funge infatti da proemio all’intero poema) e 100 sono i canti totali. Tutti e tre i regni dell’oltretomba sono ripartiti in nove zone più una, per un totale di dieci: l’inferno ha un vestibolo e nove cerchi; il purgatorio ha l’Antipurgatorio, sette gironi e il paradiso terrestre; il paradiso ha nove cieli e l’Empireo. Le anime dei dannati sono organizzate in tre gruppi principali (incontinenti, violenti, fraudolenti), così come le anime dei penitenti (coloro che diressero il loro amore verso il male, coloro che amarono poco il bene e coloro che amarono troppo i beni terreni) e le anime beate (spiriti mondani, attivi e contemplativi). 
Non mancano altri esempi di simmetria: il canto VI di ogni cantica affronta sempre un tema politico, allargando però progressivamente la prospettiva (Firenze nell’Inferno, l’Italia nel Purgatorio, l’Impero nel paradiso); la selva nella quale si perde Dante all’inizio dell’inferno è speculare rispetto alla “foresta divina” del paradiso terrestre alla fine del purgatorio; ogni cantica si chiude con la parola “stelle”. 

Di cosa parla la Divina Commedia?


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La Divina Commedia non è altro che il resoconto del viaggio nell’oltretomba che l’autore immagina di aver compiuto nella primavera del 1300 (l’anno del primo giubileo) e durato sette giorni. Giunto “nel mezzo del cammin di nostra vita”, cioè all’età di trentacinque anni, Dante si è smarrito nella “selva oscura” del peccato; in suo soccorso, mandata da Beatrice (a sua volta inviata da santa Lucia e dalla Vergine), viene l’ombra del poeta latino Virgilio, che diventerà la sua guida nell’itinerario attraverso l’Inferno e il Purgatorio, mentre Beatrice lo guiderà nel Paradiso, dove Virgilio, in quanto anima “dannata” non può andare. Per Dante, Virgilio e Beatrice sono guide illuminate, rispettivamente simboli della ragione e della fede.

L’idea del viaggio ultraterreno e delle visioni dell’oltretomba è un tema ricorrente in tutta la tradizione letteraria classica e medievale, che Dante conosceva molto bene (dall’Odissea all’Eneide, dall’Apocalisse alla letteratura agiografica, ai poemetti di Giacomino da Verona e Bonvesin de la Riva). Il lavoro di Dante, però, è talmente originale e ben riuscito da formare un modello a sé stante non solo per la letteratura di questo tipo, ma per tutta la letteratura successiva.

L’Inferno e la Geografia Dantesca

Il primo luogo che Dante visita nel suo viaggio è l’Inferno: esso è una voragine costituita da nove enormi gradini (o cerchi concentrici) che sprofondano sempre più stretti verso il centro della Terra, dove secondo la tradizione andò a conficcarsi Lucifero dopo la cacciata dal paradiso. Sopra di essi sono puniti i peccatori, con pene la cui gravità è proporzionale alla gravità del peccato commesso e aumenta con il procedere verso il basso. 
Prima di proseguire con la narrazione, dobbiamo considerare la concezione che aveva Dante della Geografia e dell’Astronomia, perché senza quella è impossibile capire ciò di cui parla il poema: Dante, come tutti gli uomini di cultura del suo tempo, era un convinto sostenitore della teoria secondo la quale, in campo scientifico, Aristotele era la massima autorità. Quindi, l’Universo dantesco non può che coincidere con l’universo teorizzato da Aristotele, approvato dal geografo Tolomeo e da Tommaso d’Aquino, l’Autorità filosofica in cui Dante si riconosce: La Terra è una sfera sospesa al centro dell’universo e divisa in due emisferi: quello settentrionale o boreale e quello meridionale o australe.  Al centro dell’emisfero settentrionale, l’unico abitato e compreso tra le foci del Gange e le colonne d’Ercole, sorge Gerusalemme. Nei pressi della città santa si apre l’accesso all’Inferno, concepito come un’immensa voragine a forma di cono rovesciato, suddiviso in nove cerchi concentrici. Simmetrico rispetto all’Inferno, il Purgatorio è un’altissima montagna, situata al centro dell’emisfero meridionale e circondata dalle acque. È anch’esso suddiviso in nove partizioni (balze e cornici) e culmina nell’Eden, il Paradiso Terrestre. Attorno alla Terra ruotano nove cieli concentrici, contenuti all’interno dell’Empireo, il cielo immobile nel quale risiede Dio
Torniamo al nostro Inferno. Accompagnato da Virgilio, Dante scende tra “le genti dolorose”. Alle porte dell’Inferno, al di qua del fiume Acheronte, Dante incontra le anime degli ignavi, che sono coloro i quali che in vita, per viltà e paura, non presero mai posizione, non seguirono il bene, ma neppure il male.

I Cerchi dell’Inferno della Divina Commedia

Attraversato l’Acheronte, Dante e Virgilio scendono nel I cerchio, il Limbo, dove si trovano i morti senza battesimo e gli “spiriti magni”, cioè i giusti vissuti prima dell’era cristiana o al di fuori del Cristianesimo. Qui si trovano personaggi come Socrate, Platone, Aristotele, Ovidio e Averroè. 
I cerchi dal II al V sono occupati dagli incontinenti (incapaci di frenare le passioni), ossia lussuriosi (II cerchio), golosi (III cerchio), prodighi e avari (IV cerchio), iracondi, superbi e accidiosi (V cerchio). Il VI cerchio ospita gli eretici, distinti nelle varie sette. Il VII cerchio comprende i violenti ed è diviso in tre gironi: i violenti contro il prossimo (tiranni, omicidi e predoni), i violenti contro se stessi (suicidi e scialacquatori), i violenti contro Dio (bestemmiatori), natura (sodomiti) e arte (usurai). L’VIII cerchio, detto Malebolge, accoglie i fraudolenti contro chi non si fida ed è diviso in dieci fossati (le bolge): ruffiani e seduttori (I bolgia), adulatori (II bolgia), simoniaci (III bolgia), indovini (IV bolgia), barattieri (V bolgia), ipocriti (VI bolgia), ladri (VII bolgia), consiglieri fraudolenti (VIII bolgia), seminatori di discordia (IX bolgia), falsari (X bolgia). Il IX cerchio ospita i fraudolenti contro chi si fida, cioè i traditori, ed è diviso in quattro zone: Caina (traditori dei parenti), Antenora (traditori della patria), Tolomea (traditori degli ospiti), Giudecca (traditori dei benefattori). Al centro del IX cerchio, Lucifero dilania nelle sue tre bocche i traditori della Chiesa e dell’Impero, ossia Giuda, Bruto e Cassio.
All’Inferno, i dannati, oltre al castigo morale della privazione della vista di Dio, scontano pene fisiche regolate dalla legge del contrappasso, per analogia o per contrasto rispetto alla colpa commessa. Così, ad esempio, i lussuriosi, che in vita furono travolti dalla passione dei sensi, ora sono trascinati dalla bufera infernale, e gli indovini, che sulla terra vollero guardare troppo avanti, nell’Inferno sono costretti a camminare con la testa rivolta all’indietro.

Riassunti:
Primo canto dell’inferno

Il Purgatorio

Il secondo luogo che visitano Dante e Virgilio è il Purgatorio, che è il luogo dell’espiazione e della purificazione dell’anima. Esso è una montagna formatasi quando la terra, inorridita, si ritrasse allo sprofondare di Lucifero. La montagna del Purgatorio è ripartita in nove zone (balze e cornici), dove i peccatori sono collocati non in base alle colpe effettivamente commesse (come avviene nell’inferno), ma in base alle disposizioni peccaminose. 
Ai piedi della montagna, dopo la spiaggia, si trova l’Antipurgatorio (I balza), dove scontano la loro pena quattro schiere di negligenti, ossia coloro che si pentirono in punto di morte: gli scomunicati, i pigri, i morti di morte violenta, i principi negligenti. Si apre poi il purgatorio vero e proprio, diviso in sette balze o cornici sulle quali i peccatori espiano i sette peccati capitali: superbia, invidia, ira, accidia, avarizia, gola, lussuria. Sono gli stessi peccati puniti nell’Inferno, ma qui l’ordine è inverso, dal più grave al meno grave. Anche qui i peccatori devono subire la pena morale della privazione di Dio e un castigo fisico regolato dalla legge del contrappasso.
Sulla cima della montagna (IX balza) si stende il giardino del paradiso terrestre, dove le anime cancellano il ricordo delle colpe immergendosi nel fiume Lete, mentre nel fiume Eunoè rafforzano la memoria del bene compiuto. Qui Dante è abbandonato da Virgilio, che non può proseguire oltre, e viene “raccolto” da Beatrice.

Il Paradiso

Il Paradiso è l’ultimo luogo visitato da Dante nel suo viaggio. Esso è organizzato in nove cieli concentrici che ruotano attorno alla Terra. Ciascun cielo è governato da un pianeta e da un gerarchia angelica, e tutti sono contenuti nell’Empireo, il decimo cielo dove risiedono stabilmente i beati, disposti nell’immenso anfiteatro che forma la “candida rosa”. Al centro di questo anfiteatro si trova Dio. Durante il viaggio di Dante, però, gli spiriti beati appaiono al poeta distribuiti nei singoli cieli: ciascuno si avvicina a lui nel cielo la cui virtù influenzò maggiormente la sua vita terrena.
Il poeta incontra quindi i beati in ordine crescente di beatitudine: nel I cielo, quello della Luna e degli angeli, gli spiriti che mancarono ai voti; nel II cielo, di Mercurio e degli arcangeli, gli spiriti attivi per desiderio di gloria; nel III cielo, di Venere e dei principati, gli spiriti amanti; nel IV cielo, del Sole e delle potestà, gli spiriti sapienti; nel V cielo, di Marte e delle virtù, gli spiriti militanti; nel VI cielo, di Giove e delle dominazioni, gli spiriti giusti; nel VII cielo, di Saturno e dei troni, gli spiriti contemplativi. Nell’VIII cielo, quello delle Stelle Fisse e dei cherubini, Dante assiste al trionfo di Cristo, di Maria e dei beati, e nel IX, il cristallino o Primo Mobile (cosiddetto perché trasmette il movimento rotatorio agli altri cieli) governato dai serafini, vede il trionfo degli angeli attorno a Dio.
Entrato nell’Empireo, Dante giunge al centro della “candida rosa”, dove Beatrice, che lo ha condotto attraverso i nove cieli, lascia il posto di guida a san Bernardo, il quale spiega al poeta la disposizione dei beati e chiede alla Vergine Maria di intercedere perché Dante possa vedere Dio. La preghiera viene esaudita e Dante può vedere Dio.

I personaggi della Divina Commedia

I personaggi che Dante incontra nel suo viaggio ultramondano sono tantissimi, Nell’Inferno, oltre a personaggi mitologici come Caronte (che traghetta le anime sul fiume Acheronte), Minosse (che le giudica), Cerbero, il Minotauro, l’indovino Tiresia e Ulisse (del quale la Commedia offre un’immagine indimenticabile), Dante inserisce anche moltissimi personaggi storici e anche alcuni suoi contemporanei e ne scolpisce ritratti di straordinaria umanità: per esempio, gli infelici amanti Paolo e Francesca, il goloso Ciacco, l’eretico Farinata degli Uberti, il suicida Pier della Vigna, il sodomita Brunetto Latini, i traditori Ugolino della Gherardesca e Guido da Montefeltro.
Se nell’Inferno i toni sono drammatici e i personaggi dominati dalla disperazione perenne, nel Purgatorio predomina il tono elegiaco e le creature che vi compaiono sono animate da dolorosa malinconia. Tra di loro spiccano le figure di Casella, Manfredi, Pia dei Tolomei, Sordello, Guido Guinizelli.
Nell’atmosfera immateriale del Paradiso, dove le passioni umane dovrebbero sublimarsi nella beatitudine, i personaggi conservano il loro straordinario fascino sentimentale e umano. Ne sono esempio figure come Piccarda Donati, Cacciaguida (antenato del poeta) e i santi Tommaso d’Aquino, Benedetto da Norcia, Bonaventura, Francesco e Domenico.

La lingua della Divina Commedia

La lingua con cui Dante compone la Commedia è il volgare di uso corrente, e precisamente il dialetto fiorentino in tutte le sue forme, sia quelle auliche sia quelle plebee. A volte viene anche arricchito da latinismi, gallicismi e neologismi. Il poeta ha saputo utilizzare il linguaggio con straordinaria creatività e sapienza, piegandolo a esprimere i sentimenti più sottili e i concetti più difficili e dimostrando così le reali possibilità della nuova lingua (si ricordi che all’epoca della Commedia il volgare non aveva ancora una consolidata dignità letteraria e veniva utilizzato quasi esclusivamente nella lirica amorosa). Dante, per questo motivo,  è considerato il padre della lingua italiana.

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