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Questo articolo è la “prima pietra” di un grande progetto che ci siamo posti di realizzare: raccontare i grandi eroi caduti nella lotta contro tutte le mafie. In questo articolo e in quelli che seguiranno, vi racconteremo chi erano, cosa fecero, perché sono stati uccisi, da chi e perché li dobbiamo ricordare.
Non potevamo che iniziare da lui, da Peppino Impastato, uno che praticamente la mafia ce l’aveva in casa ma che nonostante tutto non rinunciò a combatterla con ogni mezzo, fino a farsi uccidere. 
Bene, ora che abbiamo terminato con le presentazioni, diamo il via a questo grande ciclo, per ricordare Peppino e gli altri eroi come meritano.

Chi era Peppino Impastato?

Peppino Impastato

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Peppino nasce con il nome di Giuseppe Impastato a Cinisi, in provincia di Palermo, il 5 Gennaio del 1948. La famiglia in cui viene al mondo è una delle più grandi famiglie mafiose siciliane: suo padre Luigi, durante il fascismo, era stato mandato al confino in seguito alle politiche antimafiose portate avanti dal regime e sua zia aveva sposato Cesare Manzella, uno dei grandi capomafia del momento e boss della “Famiglia di Cinisi”. Manzella è stato uno dei primi boss a capire l’importanza del business del traffico di stupefacenti.

Il 26 aprile 1963, Peppino ha 15 anni quando l’Alfa Romeo Giulietta di Manzella esplode, imbottita di tritolo, con il boss dentro. Secondo la tradizione, fu proprio l’atroce uccisione dello zio boss a ispirare nel giovane Impastato la sua vocazione per la lotta alla mafia, Peppino infatti pare che disse, secondo quanto riportato in un intervento dal fratello Giovanni anni dopo la sua morte: “E questa sarebbe la mafia? Se questa è la mafia allora io la combatterò per il resto della mia vita.“. Alla guida della “famiglia”, dopo la morte atroce del boss, gli succede Gaetano Badalamenti, detto Tano, che spesso era ospite a casa di Peppino perché grande amico del padre.

Peppino è ancora un ragazzo quando viene cacciato via di casa dal padre, probabilmente subito dopo queste dichiarazioni. Certo, uno che aveva praticamente tutti i giorni seduto a cena vicino a lui il numero uno di Cosa Nostra (“Tano Seduto”, in base a come era riconosciuto da Peppino) non avrebbe potuto agire altrimenti se un suo figlio si fosse lanciato in tali dichiarazioni. Fuori di casa, il nostro eroe ha la possibilità di lanciarsi in una serie di attività contro la mafia: apre circoli culturali, si avvicina alla politica diventando militante del PSIUP ( il “Partito socialista italiano di unità proletaria, uno di quei partiti nati dal PSI dopo che questo entra a far parte dei governi di Centro-Sinistra, al potere nell’Italia degli anni ’60-’70) e fonda persino un giornale, l’Idea Socialista, che però ha vita breve perché viene sequestrato dopo pochi numeri. Poco dopo si avvicina al comunismo; era il ’68, erano gli anni del Che, di Mao e della Rivoluzione Culturale. Da comunista partecipa ad alcune lotte e ad alcune marce e entra a far parte di Lotta Continua.


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Nel 1975 Peppino mette in piedi il Circolo “Musica e Cultura”, un’associazione culturale giovanile che organizza attività di vario genere e che diventa in breve tempo il principale punto di riferimento per i giovani di Cinisi. All’interno del Circolo sono particolarmente attivi due collettivi molto accesi: il “Collettivo Femminista” e il “Collettivo Antinucleare”. Intorno al 1977 Peppino e alcuni suoi amici del circolo realizzano Radio Aut, una radio autofinanziata che trasmette programmi inclusi nel campo della controinformazione e soprattutto in quello della satira politica ma soprattutto contro la mafia. Nel 1978 partecipa con una lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali a Cinisi e riesce a diventare consigliere comunale. Peppino però non riuscirà mai a ricoprire quella carica perché il 9 maggio di quell’anno, dopo aver organizzato una mostra fotografica di denuncia contro la devastazione del territorio siciliano ad opera dei clan mafiosi, viene assassinato in una maniera violentissima: il suo corpo viene dilaniato da una carica di tritolo posta sui binari della linea ferroviaria Palermo-Trapani. Il fatto sconvolgente è che la sua morte non viene considerata come merita, anzi, le indagini all’inizio sembrano addirittura essere contro di lui perché pare che fosse stato accusato di aver messo lui stesso la dinamite sui binari, quasi come per portare avanti un attentato terroristico. Decaduta l’accusa di terrorismo, si fa sempre più strada l’ipotesi del “suicidio eclatante”: Peppino si è fatto esplodere per portare avanti le sue lotte. La morte di Peppino, poi, avviene in silenzio, non fa notizia perché proprio in quegli stessi giorni viene ritrovato il corpo morto del senatore democristiano Aldo Moro, sequestrato e ucciso dalle brigate rosse.

Il nostro Peppino riceve giustizia soltanto quasi venticinque anni più tardi, quando viene scoperta la correlazione tra la sua morte e la mafia, e viene individuato chi è stato il mandante di tutto ciò: Gaetano Badalamenti, Tano Seduto, quel boss che era sempre a casa sua. È stato lui a farlo uccidere, è stato lui che lo voleva morto perché “sapeva troppo”.

Don Tano viene condannato all’ergastolo solo nel 2002 e morì in America il 29 aprile 2004.

Se volete approfondire il personaggio di Peppino Impastato, vi consiglio di guardare il film di Marco Tullio Giordana dal titolo “I Cento Passi”, quei cento metaforici passi che dividevano la casa di Peppino da quella di Don Tano  e che gli sono costati la vita.

Questo è quanto è necessario conoscere di questo grande eroe, morto nel tentativo di cancellare dalla sua terra il virus della mafia, che ancora adesso la martoria e la affligge, e diventa una montagna di merda sempre più alta.

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