(adsbygoogle = window.adsbygoogle || []).push({});
Telodicoio continua con i suoi omaggi ai grandi eroi della lotta a tutte le mafie. In questa puntata vi racconteremo di un eroe silenzioso, anziano, mite ma estremamente importante. Vi racconteremo del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Un uomo che come Peppino Impastato è morto per dare a noi tutti un’Italia migliore, un’Italia che si spera un giorno essere libera da tutte le organizzazioni criminali. Celebre fu il suo piccolo discorso:”Certe cose non si fanno per coraggio, ma per poter continuare a guardare negli occhi i propri figli, e i figli dei propri figli”. Uomo di altri tempi, oggi persone di questo genere non esistono più, o meglio, magari ci saranno anche ma sono poche, troppo poche per poter fronteggiare la mafia ed eliminarla una volte per tutte, come si provò a fare durante il ventennio fascista con il prefetto di ferro Cesare Mori.

Carlo Alberto Dalla Chiesa

Chi era Carlo Alberto Dalla Chiesa?


(adsbygoogle = window.adsbygoogle || []).push({});

A differenza della maggior parte delle vittime di mafia, Dalla Chiesa non è un conterraneo dei suoi carnefici, ma lì viene mandato per combatterli. Nasce infatti a Saluzzo, tranquilla e ridente cittadina piemontese delle campagne cuneesi, il 27 settembre del 1920. 

Già da quando era bambino, si capisce subito che nella vita dovrà fare il carabiniere, perché suo padre Romano e suo fratello Romolo sono entrambi ufficiali dell’Arma. Giovanissimo (ad appena 21 anni, nel 1941), affronta il suo ‘battesimo di fuoco’ in una guerra vera e propria, quella in cui l’Italia, con il supporto della Germania, attacca la Jugoslavia e riesce a occupare il Montenegro. Un anno più tardi, viene richiamato in Italia, dove tiene la tenenza dei carabinieri di San Benedetto del Tronto fino al terribile 8 settembre 1943.
Il suo rapporto con la Resistenza partigiana è stato un po’ di amore-odio all’inizio, anche perché un giorno viene brutalmente aggredito da un partigiano comunista il quale lo accusa di essere il responsabile del mancato arrivo degli aiuti di armi mandate dagli alleati. Al secco aut-aut che gli viene in seguito posto, “Lei con chi sta, signor tenente, con l’Italia o con la Germania?”, però, Dalla Chiesa si mostra disponibile a giocare a favore della causa partigiana e all’inizio le cose sembrano filare per il verso giusto, fino a quando qualcuno, assalito dall’italico sentimento di voler avere sempre ragione, si sente in dovere di fare la spia con qualcuno molto in alto e il nostro Carlo Alberto non vede di fronte a sé altra possibilità che darsi alla macchia insieme agli altri partigiani. Qui gestisce una radio clandestina che manda le comunicazioni dei comandi Angloamericani e per lui la guerra finisce nel migliore dei modi possibili, con una promozione e una serie di onorificenze e medaglie. Oltre a questo, riesce anche a laurearsi in Giurisprudenza e Scienze Politiche (seguendo i corsi di un certo professor Aldo Moro, che incontreremo di nuovo più tardi) presso l’università di Bari.


(adsbygoogle = window.adsbygoogle || []).push({});

Neanche il tempo di rilassarsi un attimo e viene subito spedito all’Inferno, a combattere il banditismo e le mafie agrarie prima in Campania e, nel 1949, in Sicilia, dove subito ha occasione di scontrarsi con quella che sarà la sua nemesi. Nell’isola, riesce a sgominare l’emergente boss mafioso Luciano Liggio, colpevole dell’omicidio del sindacalista Placido Rizzotto. Il successore di Rizzotto alla guida del sindacato viene preso da Pio La Torre, il quale verrà anch’egli ucciso dalla mafia. La prima esperienza siciliana gli è valsa una medaglia d’argento al valor militare. Alla fine di questa esperienza e dopo alcuni anni in giro per l’Italia (Firenze, Milano e Roma), conquista un’altra promozione e nel 1966 torna in Sicilia con il grado di colonnello e assume il comando della Legione di Palermo. Nel gennaio ’68 la Sicilia occidentale viene devastata dal terribile terremoto del Belice e il colonnello interviene coi suoi reparti in soccorso della popolazione, operazione che gli vale una medaglia di bronzo al valor civile. Nel ’69 incontra di nuovo la mafia, perché si consuma la strage di Viale Lazio, in cui perde la vita il boss Michele Cavataio e in cui fanno la loro prima comparsa nel mondo mafioso futuri boss come Calogero Bagarella, Bernardo Provenzano e Salvatore Riina detto Totò (il primo morì nel casino generale e gli ultimi due verranno condannati per questi fatti soltanto quarant’anni più tardi, nel 2009, per dire come sono rapidi i tempi della giustizia italiana). Michele Cavataio detto “il Cobra” era stato accusato di aver dato inizio alla prima guerra di mafia, che Dalla Chiesa si trova ora a fronteggiare, e quindi andava punito. Gli scenari che si stanno per aprire sono apocalittici, e il nostro colonnello preferito intuisce tutto. Nel 1973 torna a casa, in Piemonte, con l’incarico di combattere un nuovo pericolo, il terrorismo, ma non dopo aver aver ottenuto un ulteriore promozione, quella definitiva, quella al grado di generale.

Forte della duplice esperienza siciliana e dei metodi utilizzati per combattere la mafia, il generale non ha problemi a fronteggiare anche le Brigate Rosse e il loro crescente potere; particolarmente efficace si rivela l’uso di agenti infiltrati all’interno delle congregazioni brigatiste, grazie ai quali si è riuscito a capire tutti i meccanismi e gli schemi di potere di questa organizzazione. Nel 1974 fonda il Nucleo Speciale Antiterrorismo e riesce a catturare a Pinerolo i due esponenti di maggiore spicco delle Brigate Rosse: i fondatori dell’organizzazione Alberto Franceschini e Renato Curcio, il quale però successivamente riesce ad evadere dal carcere, salvo poi essere di nuovo riacciuffato. Viene coinvolto anche nel caso Aldo Moro, che riesce a dipanare e arrestando altri membri di spicco (Patrizio Peci e Rocco Micaletto) fornisce un fondamentale contributo alla disfatta delle BR.

Nel 1982, viene mandato per la terza e l’ultima volta in Sicilia, dopo la nomina direttamente dal governo a prefetto di Palermo, subito dopo essere stato nominato Vice Comandante Generale dell’Arma. Forte dell’esperienza maturata nella lotta al terrorismo, lo stato crede in lui anche per sconfiggere Cosa Nostra, ma fino a un certo punto: il sostegno dello stato e i mezzi sono molto carenti e Dalla Chiesa si ritrova a combattere una guerra contro la mafia da solo, tanto che arriva inevitabile la sua ora.

Il 3 settembre 1982, alle ore 21.15, mentre si trova nella sua auto insieme alla moglie in via Isidoro Carini a Palermo, viene speronato da un’altra automobile dalla quale partono raffiche di AK-47 Kalashnikov che stroncano la sua vita e quella di sua moglie Emanuela Setti Carraro. L’auto in cui viaggiava la scorta, subito dietro, viene assaltata poco dopo. Vengono condannati per l’omicidio tutti i vertici di Cosa Nostra, ma i due più terribili, Totò Riina e Bernardo Provenzano, sfuggono alla giustizia e continueranno a uccidere.

LEAVE A REPLY