Tito Maccio Plauto nasce a Sarsina, nell’Umbria romana (oggi in provincia di Forlì), nel terzo secolo a.C., durante il periodo delle guerre di Roma contro Taranto.
In questo periodo Roma inizia a “scontrarsi” con il mondo greco ellenistico e infatti nelle commedie di Plauto vediamo molta Grecia: è infatti uno dei principali esponenti del genere letterale della Palliata, un genere di commedia iniziato da Livio Andronico in cui i personaggi sono principalmente greci, le ambientazioni e spesso anche la commedia stessa è tratta da un originale greco.
Quindi la Grecia ha incito tantissimo nella cultura letteraria greca, così come in ogni ambiente culturale e non dell’antica Roma. Le due culture spesso si intrecciarono. Questo è stato un bene, perché è proprio grazie a questa condivisione delle culture che esse hanno potuto sfornare i capolavori che oggi studiamo ogni giorno.
Plauto fa quindi un lavoro di Contaminatio: parte infatti da commedie greche e ne apporta modifiche atte a divertire il pubblico, inserisce in una commedia alcune parti di un’altra commedia, anche commettendo errori. Le commedie Plautine sono infatti piene di riferimenti al costume, alla società e alla politica romana fatti però da personaggi greci. Oltre a questo, Plauto aggiunge spessissimo anche scambi di minacce tra i personaggi e scene comiche dove gli attori si insultano e si prendo a bastonate, in uno stile molto Plauto fa quindi un lavoro simile a quello della Fabula Atellana; nelle commedie, poi, abbondano le invenzioni lessicali (neologismi).
Le 21 commedie scritte da Plauto e raccolte dopo la sua morte da Varrone, che si occupa della loro autenticità, seguono quasi tutte lo stesso schema: in 16 commedie su 21 abbiamo sempre un giovane (adulescens) che è innamorato di una donna, ma questo amore incontra degli ostacoli: se la donna in questione è una cortigiana (una prostituta, quindi una schiava), l’ostacolo è di carattere economico, perché il giovane non dispone di sufficiente denaro per “liberare” la donna amata dal lenone che la possiede; se invece la donna è onesta, quindi libera e non schiava, l’ostacolo è di carattere sociale e familiare, perché la donna amata appartiene a una famiglia di ceto inferiore rispetto a quella del ragazzo.
L’avversario dell’amore è molto spesso una persona: il padre severo e avaro del ragazzo, il lenone arrogante “proprietario” della cortigiana” o un soldato che la trattiene a forza. Il giovane però non è solo, è infatti ricorrente il personaggio dell’aiutante: uno schiavo astuto (servus callidus), un amico o un vecchio gentile mettono a disposizione del ragazzo tutto il loro ingegno per raggirare l’antagonista e far sì che l’amore trionfi. La vicenda si conclude con un lieto fine comico.