Tema sull’immigrazione: tema argomentativo sull’argomento “Italia, paese di migranti” partendo dal colonialismo greco fino ad arrivare agli sbarchi a Lampedusa. Sottolineando eventuali storie della propria famiglia. Tutti nelle nostre famiglie abbiamo avuto persone che sono andate via dall’Italia per cercare fortuna all’estero, spesso in America.

Italia: paese di santi, poeti e migranti

Tema sull'immigrazione

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Perché la nostra terra è stata nei secoli sempre soggetta a ondate migratorie? Cosa spinge una persona ad abbandonare il proprio paese d’origine per spostarsi nel nostro? Come mai i nostri nonni hanno abbandonato le loro case per andare in America? Come sono stati trattati? Come trattiamo noi le persone che arrivano sui nostri lidi?

L’Italia è un paese molto particolare: una penisola a forma di stivale in mezzo al mar Mediterraneo, in un mondo mediterraneo-centrico sarebbe una base commerciale perfetta. Questo i greci lo sapevano molto bene. Nella cosiddetta epoca arcaica (776-479 a.C), gli abitanti della penisola ellenica cominciavano a essere troppi e la terra per coltivare andava scarseggiando. Fu così che “scoprirono” di avere accanto a sé una terra molto simile alla loro, ma molto più ampia, e iniziarono a trasferirvisi in massa. Nacque così la Μεγάλη Ἑλλάς (Megalé Hellàs), quella che i Romani chiameranno Magna Graecia, una grande Grecia fuori dalla Grecia, un luogo popolato da una civiltà raffinatissima oltre che il luogo di nascita della Filosofia (basti pensare a Parmenide di Elea, una città greca nell’attuale Cilento, di cui ora non rimangono che quattro sassi). Potremmo dire che sia stato questo il primo movimento d’immigrazione di massa ad interessare l’Italia.
Anche ai nostri giorni la posizione geografica della nostra penisola gioca un ruolo importante nello scacchiere europeo e mondiale. L’isola di Lampedusa è proprio l’avamposto dell’Europa verso l’Africa.
Oggigiorno però, a differenza dei Greci, molti africani giungono nell’isola fuggendo dalla guerra e dall’oppressione su barconi di fortuna (e costati loro una fortuna) il cui traffico è in mano a bande criminali che guadagnano enormi quantità di capitale giocando con le vite delle persone. Un po’ quello che capitava ai nostri nonni, ammassati nelle terze classi dei grandi transatlantici diretti a New York, Buenos Aires o Santos in Brasile, con la differenza che oggi il traffico di migranti ha raggiunto proporzioni e profitti monumentali. Il traffico di clandestini tra Messico e USA è arrivato a fatturare, secondo i dati delle più importanti società di statistica mondiali, quasi quatto bilioni di dollari.

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Quattro Bilioni di dollari, non so se abbiate idea di quanti siano. Dico solo che il debito pubblico italiano è di circa due bilioni di euro… Tutto questo senza parlare dei costi in termini di vite umane: si stima che, negli ultimi quattordici anni, più  di 23 mila persone abbiano abbiano perso la vita nel Canale di Sicilia nell’intento di raggiungere le coste del nostro paese. L’ultima grande strage del mare si è consumata lo scorso novembre, quando a causa di un incendio a bordo di un barcone perirono più di trecento tra uomini, donne e bambini.

E coloro che raggiungono le nostre coste? Come vengono trattati? Vengono raccolti nei famigerati CIE, centri di identificazione ed espulsione, dove rimangono a tempo indeterminato fino a quando non viene scoperta la loro identità, poi vengono “inseriti” nella società, quella società in cui ancora persistono retaggi di razzismo, intolleranza e discriminazione.
Io ho avuto la possibilità di parlare con un ragazzo originario della Somalia, giunto in Italia via barcone, il quale mi ha raccontato in un perfetto italiano (non dimentichiamo che la Somalia in passato è stata terra nostra) la sua storia, che vi riassumerò in breve. Lui, di cui non riporterò il nome per rispetto, è dovuto fuggire perché a causa dell’instabile situazione del suo paese, in mano a bande di signori della guerra, ha perso tutto ciò che aveva: la sua casa, la sua terra, sua moglie e i suoi bambini. Decide allora di intraprendere questo viaggio, investendo tutto il (poco) denaro di cui disponeva, attraversando zone disastrate come il Sudan meridionale, il Darfur, il deserto del Ciad per poi raggiungere la Libia e il golfo della Sirte e quindi imbarcarsi alla volta di Lampedusa. Vi risparmio tutti i dettagli raccapriccianti che ha dovuto subire e sopportare dai trafficanti. Per la sua fortuna giunge in Italia vivo, ma, parole sue “avrebbe preferito morire in mare”. Una volta in Italia, rimane per più di tre mesi un CIE siciliano per poi essere “trasferito” a Torino. Oggi vive in una casa occupata nell’area dell’ex Villaggio Olimpico del capoluogo piemontese, guadagnandosi il pane quotidiano con attività di fortuna.

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Questa storia mi ha fatto venire in mente la storia dei bisnonni di mia madre, braccianti campani e abruzzesi che all’inizio del secolo scorso hanno abbandonato tutto per raggiungere il Brasile. Qui all’inizio hanno vissuto lavorando quasi come schiavi in una fazenda nello stato di São Paulo, poi, raccolta una discreta fortuna, come altri italiani iniziano a produrre il caffè in proprio, mettendo in piedi una propria fazenda e assumendo altri braccianti anche di provenienza Italiana. Un giorno però in Brasile prende potere un tale Getulio Vargas, che decide che il paese produce troppo caffè. Si iniziano quindi a bruciare le riserve e il prezzo della materia prima inizia ad aumentare. I miei bisnonni, quindi, cadono in disgrazia è sono costretti a migrare nuovamente, questa volta alla volta degli USA, dove dopo aver raccolto la cifra sufficiente per rimettersi di nuovo in viaggio, salgono su un’altra nave e salpano per l’ultima volta, per tornare a casa, in Italia.

Oggigiorno, anche molti giovani italiani stanno vivendo l’esperienza dei miei bisnonni, questa volta però emigrano le eccellenze, menti brillanti che nel nostro paese non trovano spazio per offrire la loro scienza alla società.
In conclusione, io penso che quando al telegiornale sentiamo notizie di stragi nel mare o notizie di episodi spiacevoli compiuti da migranti, non dovremmo farci sopraffare dal razzismo e dall’intolleranza, ma al contrario ricordare la nostra storia recente di popolo di santi, poeti e migranti.

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