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Il capitolo ottavo dei Promessi Sposi è il proseguimento del settimo. Nel settimo capitolo, avevamo lasciato i nostri protagonisti davanti a casa di don Abbondio, apprestati a celebrare un matrimonio segreto. Il capitolo ottavo è dedicato alla “notte degli imbrogli”: la notte del 10 novembre del 1628, quella che vedrà alla sua fine i protagonisti del romanzo abbandonare la loro realtà del villaggio e lanciarsi in una nuova realtà che cambierà per sempre il loro modi di porsi nei confronti del mondo. Questo capitolo, infatti, segna la fine della prima parte del romanzo, quella degli otto capitoli “borghigiani”: dopo l’ “Addio ai monti” di Lucia, i due promessi sposi torneranno al loro borgo soltanto alla fine dell’opera, ma non saranno più gli stessi che l’hanno lasciato. Racconteremo tutto questo in questo riassunto del capitolo ottavo dei Promessi Sposi.

Come sempre, vi ricordiamo che la cosa migliore consiste nel leggere il capitolo prima di studiarne il riassunto.

Riassunto capitolo 8 Promessi Sposi



Riassunto e commento capitolo 8 Promessi Sposi

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Il capitolo otto riprende quello precedente, continuano quindi i due cordoni narrativi del capitolo precedente, che in questo capitolo confluiranno: il tentativo del matrimonio segreto e il piano per il rapimento di Lucia. A questi, si aggiunge il fallimento della missione di Menico, il ragazzino mandato da Agnese a Fra Cristoforo per chiedere notizie sul loro futuro. tutti questi piani sono destinati a fallire, perché quella che sta per iniziare è la “notte degl’imbrogli e de’ sotterfugi”. Imbrogli e sotterfugi che non hanno solo il significato di inganni, piani oscuri, cose “non lisce” come ricorda Lucia nel capitolo sei, ma anche di impedimenti, ostacoli. Impedimenti e ostacoli che vanno a far fallire gli inganni e i piani dei protagonisti di questo capitolo. La notte è anche “imbrogliata”, perché piena di intrecci tra le varie vicende e la realtà del paese.

“Carneade? Chi era costui?” così inizia il capitolo. Don Abbondio si trova nella penombra della canonica intento a leggere un panegirico di San Carlo Borromeo, ancora scosso per l’incontro di tre giorni prima, quando Perpetua gli annuncia l’arrivo di Tonio, uno degli amici di Renzo che gli farà da testimone per il matrimonio segreto. Nel frattempo, sulla porta di casa, Agnese intrattiene la domestica con i soliti pettegolezzi di paese, in particolare su un argomento al quale Perpetua è molto sensibile: i matrimoni sfumati. Con Perpetua distratta, Renzo si intrufola in canonica tenendo per mano Lucia. Don Abbondio, intanto, scorge Tonio e nonostante i commenti sull’ora lo riceve. Del resto i soldi sono i soldi

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L’ironia è la protagonista principe di questo capitolo, e la si vede già nelle prime parole del capitolo. L’ironia e la comicità sono molto significative perché sono in netto contrasto con la drammaticità degli eventi del capitolo. L’ironia contiene qui un sottofondo amaro: Abbondio sembra più preoccupato di capire chi è lo sconosciuto filosofo scettico (sconosciuto per un’ignorante come don Abbondio, se voi volete elevarvi e capire chi era, vi consigliamo di leggere il nostro riassunto sullo scetticismo) piuttosto che di svolgere il proprio compito di Prete, tutelando la libertà di Renzo e Lucia. Il suo interesse per i beni materiali appare anche nel dialogo a botta e risposta con Tonio, che dopo essere entrato in canonica intrattiene il curato per permettere ai due protagonisti di penetrare in casa senza essere visti e pronunciare la formula matrimoniale. Quando il momento sembra propizio, Tonio e Gervaso, che erano posti l’uno accanto all’altro, si separano come le tende del sipario e fanno apparire Renzo e Lucia. Renzo pronuncia la formula del matrimonio, ma Lucia viene interrotta dallo spaventato curato il quale le lancia addosso il tappeto per soffocarla prima che pronunci le fatidiche parole. La scena si fa sempre più concitata: mentre i quattro cercano di trovare la porta, Abbondio sveglia il sagrestano Ambrogio chiedendo aiuto, questi, allarmato, suona le campane a martello, quelle che indicano pericolo, gettando nell’agitazione tutto il villaggio.

Nel frattempo, parallelamente, i bravi del Griso fanno irruzione in casa di Lucia, ma come sappiamo non trovano niente e nessuno. A un certo punto, irrompe sulla scena Menico, di ritorno dalla sua spedizione al convento. Il ragazzo, al quale Cristoforo aveva ordinato di intimare alle donne di fuggire, perché grazie alla soffiata del vecchio servo di Don Rodrigo egli sapeva che cosa stava succedendo, si allarma quando arriva alla casa e trova i bravi, che gli intimano il silenzio minacciandolo di morte. A un certo punto, però, scattano le campane a martello e i bravi, spaventati, vogliono fuggire; l’autore li paragona a una mandria di porci allo sbando. Il Griso, travestito da mendicante e appostato davanti alla porta della casa, forte della sua supremazia li chiama a raccolta “come il cane che scorta una mandra di porci, corre or qua or là a quei che si sbandano; ne addenta uno per un orecchio, e lo tira in ischiera; ne spinge un altro col muso; abbaia a un altro che esce di fila in quel momento”. Anche in questo punto spicca l’elemento comico-sarcastico del capitolo.
Si gettano in fuga anche Agnese, Renzo e Lucia. Renzo ordina alle donne di seguirlo a casa, ma sopraggiunge Menico urlando che “in casa c’è il diavolo” e che dovevano subito andare al convento da padre Cristoforo. Nel frattempo, la folla del paese si agita sempre di più, Ambrogio continua a picchiare sulle campane chiedendo sempre aiuto, fino a quando Abbondio non la mette a tacere dicendo che era solo “cattiva gente che gira di notte” che ormai se ne era andata. Un vicino di Agnese, che ha visto la scena, dice che “il diavolo è a casa Mondella”, ma giunti alla casa e non trovando nessuno, la folla intende che le donne si siano messe in salvo e tutti quanti ritornano alle loro case. Due giorni dopo, due bravi intimano al console del paese di non far parola alcuna dell’accaduto col podestà, pena la morte.
I tre protagonisti giungono al convento e nonostante gli scrupoli del suo confratello Fazio, attento che le regole siano rispettate, fa entrare anche le due donne nel convento. Interviene quindi a rassicurare Renzo e Lucia invitandoli a sopportare la situazione e a lasciare il paese: Lucia andrà in un convento non tanto distante dal paese, mentre Renzo verrà ospitato in un convento di Milano. 
Il capitolo si conclude con l’ “Addio monti...”, una specie di poesia scritta in prosa che segna definitivamente la fine della parte borghigiana del romanzo. Il narratore esterno, Manzoni, in questa conclusione di capitolo, presenta i tristi pensieri che trafficano nella mente di Lucia, mettendo a nudo i suoi sentimenti e la sua commozione per l’abbandono del suo paesello, nel quale ritornerà e si ricongiungerà con Renzo solo alla fine del romanzo.

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