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Il decimo capitolo dei Promessi Sposi prosegue e conclude l’ampio flashback che inizia nell’8 capitolo e prosegue nel nono capitolo, che il nostro Manzoni dedica al personaggio di Gertrude, la Monaca di Monza. In questo capitolo, viene dedicato spazio al racconto della cerimonia di monacazione di Gertrude  e tutto ciò che ne consegue: la vita al convento senza una vera vocazione, le giornate vuote trascorse lì dentro rimuginando a come potrebbe essere stata la sua vita se le cose fossero andate diversamente contribuiscono a destabilizzare la sua psiche, al punto da intrattenere una relazione clandestina con un criminale di nome Egidio, che la spingerà a compiere un omicidio e a cedere Lucia all’Innominato nel capitolo XX. Vedremo tutto questo in questo riassunto del capitolo X dei Promessi Sposi.

Riassunto capitolo 10 Promessi Sposi

Riassunto e commento capitolo 10 Promessi Sposi

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Alla fine del capitolo precedente, ci eravamo lasciati con Gertrude reclusa in camera sua, con la più becera delle serve del principe, che “non ci regge il cuore di dargli in questo momento il titolo di padre”, a farle da cane da guardia. In questa situazione, la povera Gertrudina non può che scrivere una lettera al severo principe, in cui implorargli il perdono, Il capitolo 10 si apre proprio con la scena del dialogo tra la futura monaca di Monza e il principe che aveva appena ricevuto la lettera di pentimento di quella che dovrebbe essere sua figlia.

Il principe cambia subito faccia: sfruttando la debolezza d’animo della “figlia”, che ormai tiene chiusa nel pugno, si mostra premuroso, amichevole, amorevole, insomma, per la prima volta, forse, della sua vita si comporta come un padre. Ma come un padre fortemente ipocrita, manipolatore, il cui unico scopo è il mantenimento del suo patrimonio. Del resto il mondo era quello, e il principe non faceva altro che interpretare alla perfezione quei cliché che caratterizzavano la nobiltà nella sua epoca. Gertrude è annichilata dal discorso del principe, di cui non ci viene nemmeno detto il nome ma che sappiamo essere “della costola d’Adamo”: questo signore riesce a convincerla, caricandola della vergogna del peccato mortale che ha commesso (un innocente scambio di messaggi con un giovanetto, che sarà mai di così grave? Certo, non lo è per noi, quale ragazza non si scambia messaggi col “ragazzo”. Ma per un principe “della costola d’Adamo” la cui figlia è destinata al chiostro già da prima del concepimento lo è), che il mondo secolare non fa per lei, che dentro il monastero sarebbe protetta dal peccato; la “vita del mondo” era troppo pericolosa per lei. Gertude, irretita da questa insolita premura di quell’uomo che si definiva suo padre, non può far altro che dire sì, ma è un sì che più che altro gli scappa dalla bocca contro la sua volontà, volontà che si trova totalmente nelle mani del principe. Sotto tortura (in questo caso tortura psicologica), chiunque confesserà la verità voluta dal torturatore.

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A casa del principe, tutto a un tratto cambia tutto. Gertrude è la regina della casa, tutte le attenzioni sono rivolte su di lei, la cameriera spiona viene licenziata, tutti i parenti la osannano. L’indomani, Gertrude viene condotta a Monza, al monastero, per “chiedere alla madre badessa il permesso di poter indossare l’abito”. La violenza psicologica del principe, nonostante tutto, non può dirsi conclusa: poco prima della cerimonia, infatti, il “padre” spiega alla figlia per filo e per segno quello che deve dire. Deve sembrare che Gertrude voglia diventare monaca per sua volontà, e ogni accusa di monacazione forzata deve essere infondata. Ma è di questo che si tratta, monacazione forzata, un tema ricorrente nel romanzo europeo soprattutto francese (La Monaca, di Diderot, è un esempio principe del genere). Da un’altro punto di vista, un’altra lettura suggerisce che questi “suggerimenti” siano frutto dell’astuzia psicologica del principe, che per ottenere il consenso della figlia soffoca il suo desiderio di potere e di riscatto. Diventerebbe, infatti, la regina del monastero. Viene detto quindi  il secondo “sì”, il secondo dei tre che sanciranno definitivamente la sua condanna al chiostro.

Questa “formalità”, come viene chiamata, getta nello sconforto Gertrude, ma quella volpe del principe, con un mieloso sguardo di approvazione, riesce a consolarla per un breve istante. Il giorno successivo, la ragazza deve sostenere l’esame del padre vicario, e qui si tratta solo di “completar l’opera”. Di nuovo entra in gioco la spietata macchina psicologica del principe, e giunge, quasi inevitabile, quel terzo “sì”, quello della definitiva e irrevocabile monacazione. A quel punto, Gertrude è una suora a tutti gli effetti e comincia la sua vita nel monastero, ma rendendosi conto di tutto ciò a cui è stata costretta a rinunciare per accontentare quel mostro di suo “padre”, diventa insofferente di quel mondo. Viene messa, come se non bastasse, a fare la maestra delle educande, di quelle bambine, come era stata anche lei, che passavano al monastero per imparare le basi di cultura che una donna onesta del tempo doveva avere. Ella non può che provare invidia di quelle bambine, che sono ancora nella facoltà di poter scegliere il loro destino; magari tra di loro c’è qualcun’altra che subirà la sua stessa sorte, ma lei non lo può sapere.

Un giorno, uno dei tanti della sua vita da monaca, un giovane “scellerato di professione” di nome Egidio, di cui si tace il casato (com’era stato fatto in passato nella letteratura anche per un altro maestro del male. L’autore era Sallustio e il “cattivo” era Catilina, del quale ci dice soltanto essere di nobili origini, così come Egidio) le rivolge la parola mentre questa si trova affacciata alla sua finestra e “la sventurata rispose”. Tre parole violente, interrotte da un a capo, che evidenziano la situazione di Gertude, la sua disgrazia e ciò che le capiterà in seguito. La relazione clandestina che nascerà da questo incontro, nasce come estremo tentativo di ribellione e di fuga nei confronti di quel mondo violento che le era crollato addosso,, ribellione che termina con l’assassinio e con l’occultamento del cadavere di quella conversa che ha scoperto l’indecente tresca.

A questo punto, si chiude la lunga parentesi sulla storia della Monaca di Monza, e la narrazione torna da dove si era interrotta, circa un’anno dopo i fatti narrati. Prima di accogliere in convento Agnese e Lucia, Gertude interroga morbosamente la ragazza sulla sua storia e sull’interessamento da parte di Don Rodrigo. Lucia, ragazza pudica, arrossisce. Il capitolo si conclude con le donne sistemate in convento, mentre la narrazione si sposta sul palazzo di don Rodrigo.

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