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Quando si parla di Gramsci solitamente lo si associa a un movimento politico comunista e al fatto che è stato incarcerato perché ha avuto la sfortuna di vivere sotto un regime totalitario al quale si opponeva, cioè al fascismo. Gramsci però non è stato solo questo, è stato molto di più: è stata una delle più grandi teste che in Italia abbiamo mai avuto, in tutti i campi del sapere (e abbiamo avuto gente del calibro di Dante Alighieri e Leonardo Da Vinci). Lo conosceremo in questo riassunto della vita e delle opere di Antonio Gramsci. Questo personaggio spesso ignorato dalle generazioni più giovani va raccontato, e va fatto bene, perché egli ha rappresentato la parte buona dell’Italia in uno dei periodi più bui della sua storia, ed è ignobile il fatto che molti non lo conoscano e che spesso nelle scuole venga trascurato.

Quello che stai per leggere non è un riassunto scritto da una persona politicamente schierata, ma da persone che hanno studiato accuratamente la storia e che vogliono mettere il loro sapere a disposizione di tutti coloro che hanno sete di conoscenza.

Gramsci riassunto vita e opere

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Antonio Gramsci è nato ad Ales, una piccola cittadina in provincia di Oristano, in Sardegna, il 22 gennaio 1891. Gli antenati di suo padre sono scappati dall’Epiro, una regione che corrisponde grossomodo all’attuale Albania, a causa dell’invasione turca avvenuta secoli prima (come ricorda lo stesso Antonio in una delle tante lettere da lui scritte). Il cognome Gramsci, infatti, deriverebbe dalla città di Gramshi, tuttora esistente, che all’epoca dell’occupazione ottomana della zona costituiva un principato autonomo. Secondo altre fonti, il trisnonno di Antonio, il padre del nonno Gennaro, sarebbe scappato da Gramshi dopo i moti del 1821 e giunto in Italia si sarebbe rapidamente italianizzato.

 Il figlio di Gennaro Gramsci, Francesco, era studente in legge quando Gennaro viene colto da morte, il che lo costringe a cercare lavoro per mantenersi. Lo trova in  Sardegna, presso l’ufficio di registro di Ghilarza, il paese dove conosce Giuseppina Marcias, la donna che il 22 gennaio del 1891, ad Ales, darà alla luce Antonio. Il piccolo Antonio non è un bambino molto fortunato: a circa due anni d’età si ammala del morbo di Pott, una sorta di tubercolosi che colpisce lo scheletro, da cui guarisce ma che non gli garantirà una normale crescita sana. La sua colonna vertebrale ne risulta fortemente danneggiata e Antonio, infatti, non sarà mai più alto del metro e cinquanta. La sua salute non è proprio delle migliori: i medici, all’età di quattro anni, lo danno per spacciato dopo una crisi convulsiva e diverse emorragie; “non arriverà al quinto anno di età” dicono, ma Antonio, da spirito combattente qual è, supera anche questa avversità. 

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Supera le scuole elementari con il massimo dei voti, ma la situazione familiare non gli permette di iscriversi al ginnasio; decide tuttavia di prepararsi autonomamente e riesce ad iscriversi al Liceo Dettori di Cagliari. Al secondo anno di Liceo, sale in cattedra nella sua classe il professor Raffa Garzia, che all’epoca dirigeva il quotidiano “L’Unione Sarda”: egli è un intellettuale radicale, anticlericale e vicino alle idee di Marx. Tra i due è amicizia: si incontrano abitualmente fuori dall’orario delle lezioni e Antonio inizia a crearsi una propria ideologia. Nell’estate del 1911 si diploma: otto in tutte le materie e nove di italiano, nonostante questo però non è nelle condizioni economiche di iscriversi all’Università. Qualche mese dopo però il Collegio Carlo Alberto di Torino offre agli studenti poveri più meritevoli del regno una borsa di studio per iscriversi all’Università degli Studi di Torino e Antonio, insieme a un altro studente di Cagliari, è uno dei 39 vincitori della borsa di studio. Non riesce mai a laurearsi, perché nel frattempo scoppia la Prima Guerra Mondiale.

Durante gli anni della guerra, si iscrive al Partito Socialista e nel 1916 diviene giornalista dell’“Avanti!”, il quotidiano di partito, dove all’inizio svolge il ruolo di critico teatrale scrivendo diverse critiche agli autori del tempo, a Pirandello in particolare. Successivamente, assieme a Palmiro Togliatti, Umberto Terracini e altri militanti, fonda un settimanale culturale, “L’Ordine Nuovo“ (1919), indirizzato alla classe operaia e vicino alle posizioni dell’Internazionale comunista.

Gramsci fonda il Partito Comunista d’Italia

Nel 1920 Gramsci contribuisce all’organizzazione degli scioperi e delle occupazioni delle fabbriche nell’Italia settentrionale: era iniziato il cosiddetto “biennio rosso“, un’ondata di scioperi portata avanti nel biennio ’20-’21 da movimento dei consigli di fabbrica (di cui Gramsci è sostenitore) il cui intento è quello di generare una rivoluzione comunista come quella russa di tre anni prima. Gli scioperi non hanno i risultati sperati e, all’interno del Partito socialista, già in crisi, si vengono a creare ulteriori attriti che portano, nel gennaio del 1921, mentre a Livorno si svolge il XVII congresso del partito, a una clamorosa scissione: Antonio Gramsci e Amadeo Bordiga si staccano dal Partito e fondano il Partito comunista d’Italia (PCI), con un programma rivoluzionario che si propone di unire la classe operaia e le masse contadine del Mezzogiorno, nel perseguimento di obiettivi comuni. 
Il nuovo partito aderisce subito alla Terza Internazionale Socialista e per due anni Gramsci lavora nel Comintern a Mosca e a Vienna; nel 1924 torna in Italia e dopo le elezioni politiche avvenute in quell’anno, stra-vinte dal Partito Nazionale Fascista di Benito Mussolini, Gramsci organizza come deputato l’opposizione parlamentare al nuovo regime. 
Al congresso di Lione del 1926, Gramsci diviene segretario del Partito, ma quasi contemporaneamente Mussolini decreta che tutti i movimenti politici al di fuori del partito fascista sono sovversivi, quindi dichiara sciolto ogni partito e ogni oppositore viene perseguitato come nemico dello stato. Gramsci viene quindi catturato e arrestato. Nel 1928 viene condannato a vent’anni di reclusione presso il carcere di massima sicurezza di Turi, con l’accusa di cospirazione e di incitamento all’odio di classe. Durante la prigionia rifiuta di inoltrare qualsiasi domanda di grazia e accetta la sua pena senza smettere di opporsi al regime. Nel 1933 le sue condizioni di salute si aggravano sempre di più e Gramsci viene trasferito in una clinica di Formia; muore a Roma il 27 aprile del 1937, poco tempo dopo aver beneficiato di un’amnistia.

Agli anni del carcere risalgono le sue intense riflessioni sulla storia intellettuale e politica dell’Italia e sul marxismo, ma esse vengono pubblicate soltanto dieci anni dopo la sua morte, dopo che l’Italia viene liberata dal fascismo. Le Lettere dal carcere (pubblicate nel 1947, e in edizione completa nel 1988) costituiscono soprattutto un’impareggiabile testimonianza di fierezza intellettuale e di calore umano, mentre i Quaderni del carcere (usciti in sei volumi tra il 1948 e il 1951, e in edizione critica nel 1975) sono una ricca serie di appunti con cui Gramsci il proprio pensiero politico e filosofico.

Pensiero di Gramsci

Il pensiero di Gramsci è molto vicino a quello di Marx e dei più grandi esponenti del socialismo internazionale; Anche Gramsci crede nella rivoluzione come il mezzo principe per l’emancipazione delle classi operaie. Mentre l’Internazionale però proponeva rivoluzione da attuarsi sul breve periodo, Gramsci sosteneva più utile una più lunga “guerra di posizione”, che tenesse conto della complessità della società moderna. Nella società modera, infatti, le classi dominanti esercitano un controllo politico e soprattutto un’egemonia culturale sulle masse, le quali finiscono per condividere e sottostare a un pensiero comune, normalizzato, deciso dalle classi dominanti. Quest’idea della rivoluzione come lunga guerra di posizione era volta a coinvolgere attivamente il popolo nel processo di costruzione di una nuova società comunista.
Alla luce di queste considerazioni Gramsci, ripercorrendo la storia italiana, riesce a delineare il ruolo che l’intellettuale deve svolgere, all’interno del partito, nella preparazione delle masse proletarie in funzione del loro passaggio a classe dirigente: identifica nell’intellettuale l’idea del Principe di Machiavelli, indispensabile per portare le masse a diventare classe dirigente. Analizzando il successo della Rivoluzione bolscevica in Russia e del fascismo in Italia Gramsci elabora una nuova lettura del marxismo in chiave antideterministica, che non può prescindere dalla situazione storica contingente, e che egli definisce “filosofia della prassi”, in cui si tiene conto del rapporto dialettico tra struttura e sovrastruttura.

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