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A scuola ti hanno assegnato Socrate? Hai fatto bene a venire qui, perché questo riassunto di Socrate ti permetterà di risparmiare tante ore di studio. Quando uno pensa a un filosofo, normalmente se lo immagina anziano, con la barba lunga e con quell’aria vissuta di chi ne ha passate tante nella vita. Normalmente, quando uno pensa a un filosofo se lo immagina come Socrate. Per molti, infatti, Socrate è Il Filosofo per eccellenza, quello con la F maiuscola. Con Socrate è iniziata la filosofia nel vero senso della parola, cioè l’amore per il sapere, quello stesso sapere che Socrate sosteneva di non avere, di non sapere niente, ma che dicendo così dimostrava di essere il più sapiente di tutti. Ecco, questo è Socrate, il filosofo di cui ora vi faremo un riassunto. Questo personaggio, un po’ bizzaro, è la filosofia stessa, non c’è persona che rappresenti la filosofia meglio di Socrate.

Riassunto Socrate 
La prima cosa da dire su Socrate è che tutto quello che sappiamo di lui non ci giunge direttamente da lui, ma da quanto riportato dai suoi allievi e dai suoi contemporanei. Questo perché Socrate non ci ha lasciato nessun testo scritto in cui sono riportate le sue idee e il suo pensiero. un po’ come tanti altri maestri del pensiero antichi, come per esempio Gesù Cristo, il cui pensiero ci è stato tramandato attraverso i Vangeli dai suoi allievi, gli apostoli.
Socrate Riassunto
Le principali fonti che abbiamo sulla vita e sul pensiero di Socrate sono Senofonte, Aristofane, Platone e Aristotele. Di questi il più affidabile e completo è Platone, che è stato il suo allievo più devoto (anche se, oltre a lui, sono stati molti i personaggi illustri della storia ateniese che sono stati suoi allievi, uno su tutti Alcibiade). Grazie a Platone, e in particolare al suo dialogo “Apologia di Socrate” (che, detto per inciso, viene assegnato da ogni professore di filosofia che si ritenga tale) abbiamo delle informazioni più che dettagliate sulla vita, sul pensiero e sulla personalità di Socrate. Questa fonte però ha anche un problema: secondo molti studiosi, il Socrate che ci viene descritto da Platone potrebbe essere un’idealizzazione eccessiva del maestro da pare di un allievo devoto. L’unico modo per scoprire se Platone dice il vero o idealizza troppo il suo maestro sarebbe ritornare indietro nel tempo e nello spazio fino alla Atene di quegli anni e conoscere Socrate di persona, ma tutto ciò, almeno per il momento è impraticabile.

Chi era Socrate


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Platone però nonostante tutto qualcosa ci dice, perché le altre fonti sono molto relative: dallo storico Senofonte, allievo di Socrate, emerge l’immagine di un Socrate uomo modesto, virtuoso e morigerato, timorato degli dei e cittadino modello sotto tutti i punti di vista. Nell’immagine che invece ci tramanda il commediografo Aristofane Socrate appare come un pedante seccatore che perde il suo tempo in dissertazioni assurde, astratte e campate in aria. I’idea di Socrate che infine ci tramanda Aristotele non è affidabile, perché Aristotele tende a illustrare il pensiero dei filosofi precedenti a lui come se questi ragionassero con i suoi schemi, il che è alquanto forzato e anacronistico. Quindi, fino a quando non verrà inventata una macchina del tempo o qualcosa di simile, la fonte migliore resta Platone.

Ma quindi, chi era Socrate? Socrate nasce intorno al 470 a.C ad Atene. Figlio di uno scultore e di un’ostetrica, secondo quanto riportato nel dialogo Eutifrone di Platone era discendente da parte di padre del mitico Dedalo, l’architetto del labirinto di Cnosso dove era rinchiuso il leggendario Minotauro. Durante la sua vita non si sposta praticamente mai da Atene, se non durante la guerra del Peloponneso perché obbligato, come tutti i cittadini maschi adulti e non anziani della città, a prestare servizio nell’esercito. Da quanto risulta nei dialoghi platonici, Socrate non svolgeva alcun lavoro se non quello del filosofo, che comunque lavoro non era perché (a differenza dei suoi colleghi sofisti) non percepiva alcun tipo di retribuzione. Chi lavorava, nella sua famiglia, era la moglie Santippe, donna che nessun uomo vorrebbe avere come moglie, e mi fermo qui. Egli passava le giornate passeggiando per la sua Atene con il suo seguito di allievi che più che allievi erano amici e si divertiva filosofando e a smontare le convinzioni di quelli che si definivano “sapienti”.
Socrate ha anche partecipato attivamente alla vita politica della sua città entrando a far parte del Consiglio dei Cinquecento e della pritania dove ha sostenuto scelte coraggiose che talvolta gli hanno procurato l’opposizione pubblica. Dopo la guerra del Peloponneso, Sparta impone ad Atene una feroce dittatura di trenta tiranni capeggiata da Crizia (un altro dei suoi molteplici allievi); in questo periodo, Socrate si mantiene ai margini della vita politica ateniese. Quando viene restaurata la democraziada parte di Trasibulo, tuttavia, Socrate attira su di sé l’opposizione dei nuovi governanti che nella sua persona, e soprattutto nella sua figura di ‘filosofo’, vedevano probabilmente una portata sovversiva; inoltre, gli vengono rimproverate le sue amicizie aristocratiche – soprattutto quelle con Crizia e Alcibiade – considerate compromettenti. Esponenti autorevoli del partito democratico manovrano tanto da arrivare a un processo che accusa il filosofo di empietà e corruzione dei giovani. Condannato a morte dall’assemblea, Socrate accetta il verdetto con serenità, sottomettendosi alle leggi di Atene.

Il pensiero di Socrate

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Socrate agiva spinto dal suo Δαίμων (daimon, il suo ‘demone’ inteso nel significato di ‘spirito’), una voce interiore che lo incitava alla fedeltà alle proprie convinzioni etiche e alla vocazione filosofica. Si avvaleva di un metodo conoscitivo da lui definito “maieutico”: Socrate era convinto che la verità fosse in ognuno di noi e che noi dobbiamo aiutarla a venire fuori, a portarla alla luce come le donne che stanno per partorire. Questa era la cosiddetta “arte maieutica“: Socrate, come faceva sua madre, aiutava i suoi seguaci a partorire la verità che già si trovava in loro. Per questo dialogava con chiunque volesse ascoltarlo, ricco o povero: per condurlo sulla via della verità che già conosceva dentro di sé.

Socrate invitava i suoi interlocutori, mediante tecniche retoriche in parte simili a quelle dei sofisti (che a suo modo disprezzava e chiamava ‘prostituti del sapere’, in quanto vedevano nella filosofia soltanto una forma di guadagno), a trovare una formulazione oggettiva dei concetti di giustizia, amore e virtù, e a coltivare la conoscenza di sé (secondo il monito delfico del “ΓNΩΘΙ ΣEΑΥΤΟN”, del ‘conosci te stesso’). L’interlocutore, dichiaratosi esperto di una determinata disciplina, veniva provocato da Socrate, il quale, proclamandosi ignorante e affermando di avere come unica certezza quella di non sapere (Ἓν οἶδα ὅτι ουδὲν οἶδα, ‘io so di non sapere’) chiedeva il suo soccorso. Interrogato da Socrate, passo dopo passo, l’altro vedeva poste le proprie certezze messe in dubbio a partire dalle fondamenta. Questo è il cosiddetto metodo dell’ironia socratica, un metodo che ha affascinato tutti i grandi filosofi, in particolare Nietzsche e Kierkegaard.

In questo modo, Socrate voleva far scaturire dai suoi interlocutori e fissare una definizione del bene e della virtù che fosse personale ma allo stesso tempo universale, in nettissima contrapposizione del relativismo dei ‘prostituti’ sofisti. In particolare, l’idea che Socrate aveva del ‘bene’ e della ‘virtù’ (qualsiasi cosa fossero) era che le considerava come una conseguenza della conoscenza e che quindi il ‘male’ e il ‘vizio’ sarebbero generati dall’ignoranza.

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