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Aristotele e il giavellotto giavellotto fatale è un breve romanzo scritto dalla storica canadese Margaret Doody. Appartiene alla collana ‘Aristotele detective‘, storie in cui il genio della filosofia greca risolve intricati casi come un moderno detective, avvalendosi del metodo logico da lui creato e dell’aiuto del suo giovane allievo Stefanos.
Quest’opera è veramente molto significativa, tant’è che viene studiata nei Licei, ed è anche una delle opere più amate dagli studenti, c’è persino qualche “eretico” che la preferisce ai Promessi Sposi e alla Divina Commedia, anche se il paragone è nullo in quanto sono opere del tutto diverse sia per lo stile, che per il genere che per la lunghezza stessa.

L’opera non è affatto lunga, e questo la rende molto meno pesante di tante opere della letteratura mondiale, anche perché si tratta di un semplice romanzo.

Aristotele e il Giavellotto Fatale

Riassunto Aristotele e il giavellotto fatale

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Aristotele e Stefanos sono in visita al liceo dell’amico Arcandro, a trovare Meno, il fratello di un allievo del filosofo. Arrivati sul posto fanno la conoscenza di due padri dei ragazzi al Ginnasio: uno è Lisimaco, ex-scalpellino, padre di Sogene, di cui è orgogliosissimo; l’altro è Turibolo, membro di una nobile famiglia ateniese, padre di Milziade. Mentre Aristotele e tutto il gruppo di ospiti del Ginnasio si stanno recando a seguire gli allenamenti di lancio del giavellotto accade che un giovane studente accorre dal maestro Arcandro dicendogli che un ragazzo è morto colpito accidentalmente da un giavellotto durante l’allenamento. Tutti accorrono nella palestra, ma è troppo tardi: Sogene è già morto trafitto dal giavellotto di Milziade. Tutti cominciano a farsi delle domande su cosa possa essere accaduto: se sia stato un semplice incidente o un omicidio, e si comincia anche a dubitare delle amicizie tra i vari ragazzi. 

Aristotele, utilizzando la sua solita intelligenza e arguzia interroga tutti e cinque i ragazzi separatamente per avere da ognuno di loro la propria versione. Qui si vede la vera bravura del filosofo greco: infatti riesce a guardare al di là delle apparenze con un’acutezza di pensiero, un’attenzione ai particolari ed una logica cristallina degne di un moderno Sherlock Holmes. Parlando con ciascuno le varie versioni dei fatti combaciano quasi in tutto, tranne che per alcuni dubbi sulla posizione di Magacle, uno dei ragazzi, e sulla mancanza di un dolce dalla borsa di Sogene. Chiariti i dubbi Aristotele uscendo dagli spogliatoi si accorge che la lanterna, accesa tempo prima, bruciava molto più velocemente e la spiegazione a ciò arriva quando esamina per una seconda volta il cadavere trovando tracce di cera d’api nelle orecchie. Aristotele ha l’intuizione cruciale che gli permette di svelare il mistero: l’assassino è Periandro, il capo del gruppo, che ha progettato un piano per eliminare entrambi i suoi due rivali: Milziade sarebbe andato in carcere e Sogene era morto. 

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Il filosofo a questo punto spiega come Periandro sia riuscito a portare a termine il suo diabolico piano: diventato grande amico di Sogene, gli aveva consigliato di mettere dei tappi di cera d’api nelle orecchie per togliersi la sensibilità dovuta al precedente raffreddore. Durante l’allenamento aveva organizzato di persona l’ordine dei lanci e, dopo aver trovato delle scuse plausibili per allontanare due dei ragazzi, aveva fatto lanciare il giavellotto a Milziade,non avvisando Sogene colpito a morte. Subito dopo aveva tolto la cera d’api dalle orecchie di Sogene e l’aveva conservata per tutto il tempo nel cappello di Aristotele. L’errore che ha commesso è stato quello di far bruciare la cera nella lanterna, credendo così di eliminare la prova; purtroppo per lui Aristotele si era accorto che la lanterna bruciava più velocemente. Aristotele esce dalla vicenda offeso, non tanto per l’omicidio commesso da Periandro, ma per il fatto che era stato preso in giro da quest’ultimo che lo aveva usato per nascondere le prove.

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