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Nell’antichità, Roma ha messo in piedi uno dei più grandi imperi mai nati sulla faccia della Terra. Un impero enorme costruito con il sangue di migliaia di uomini e l’efficacia di un esercito che era una macchina da guerra senza pari, guidato da alcuni dei più grandi strateghi della storia, ma anche grazie all’efficientissima organizzazione burocratica, a una lingua semplice e schematica…

So a che cosa state pensando, questo è un’altro di quei professoroni che dicono che il latino è facile. Ebbene vi sbagliate! Io sono il primo a dire che il latino è la lingua dei matti, ma fidatevi che se per esempio, i Romani avessero parlato una lingua diversa (tipo il greco, per intenderci) non sarebbero riusciti a imporre il proprio modello di civiltà su un impero così vasto, e non lo dico io: è pieno di eminentissimi storici che la pensano come me. È un po’ quello che avviene oggigiorno con l’inglese, che risulta essere la lingua più studiata al mondo proprio per la sua semplicità ed efficacia.
Ma torniamo ai Romani. Essi sono riusciti a creare uno degli imperi più splendidi della storia, un impero grandissimo al cui interno regnava la pace, ma all’inizio della loro storia non erano nessuno. Erano soltanto uno di quei tanti popoli di pastori che popolavano l’Italia Centrale. Quando i villaggi che si trovavano lungo la riva del Tevere nei pressi dei cosiddetti Sette Colli si unirono, costituendo la città di Roma, si diedero un unico re e in quel momento (intorno alla data leggendaria del 21 aprile del 753 a.C.) iniziò la storia di questo popolo, che partendo dall’essere una piccola e quasi irrilevante monarchia del Centro Italia satellite dell’orbita etrusca, diventò un grandissimo impero. Vediamo meglio questa prima parte della storia romana in questo riassunto della Roma monarchica.

Roma Monarchica

Riassunto Monarchia Romana

Le origini della città di Roma e della civiltà romana sono avvolte nella leggenda: tutti conosciamo la favola di Romolo e Remo, i gemelli figli di Marte e della principessa di Albalonga Rea Silvia, nipote dell’usurpatore Amulio, abbandonati dalla madre nelle campagne del Lazio e cresciuti allattati da una lupa. Secondo questa leggenda, Romolo, dopo aver ucciso il fratello gemello che aveva oltrepassato in armi i confini sacri del Pomerium, fonda sul Palatino la città di Roma.

Romolo (ROMVLVS) e Tito Tazio (TITVS TATIVS)? 

Romolo

Questo è quello che ci dice la leggenda, la storia ha tutta un’altra idea sulle origini di Roma: ci dice, infatti, che i vari villaggi di pastori latini (è questo il nome del popolo originario del Lazio) che si trovavano sui cosiddetti Sette Colli di Roma (Palatino, Esquilino, Celio, Viminale, Quirinale, Capitolino e Aventino) si resero conto di essere in pericolo di sopravvivenza: si trovavano, infatti, in una zona molto privilegiata e vicina a importantissime saline, il cui sale rappresentava, con l’allevamento, la loro principale risorsa economica.


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Il sale era un materiale preziosissimo e costosissimo ai tempi e possederlo significava non doverlo acquistare, per questo motivo i Latini erano in pericolo, essendo pressati a Nord dagli Etruschi e a Sud dai Greci della Campania. Il villaggio del Palatino, il più grande e sviluppato, decise quindi di fondersi insieme a tutti gli altri, dando origine alla città di Roma.

Sempre la leggenda ci racconta che all’inizio della sua storia, gli abitanti di Roma erano soprattutto uomini e le donne scarseggiavano, quindi Romolo, con una scusa, attrasse in città i Sabini e mentre questi erano distratti ordinò ai suoi uomini di rapire le donne. I due popoli entrarono in guerra e i combattimenti infuriarono fino a quando le donne sabine, rappresentate dalla figura leggendaria di Ersilia, si fiondarono a separare i loro mariti (i romani) dai padri (i sabini). I due popoli si appacificarono e i sabini furono invitati a trasferirsi a Roma. Il loro re, Tito Tazio, regnò al fianco di Romolo fino alla sua morte e i re che sarebbero venuti dopo di loro si sarebbero dovuti scegliere, alternativamente, tra i latini e tra i sabini.

Questa leggenda ci viene tramandata dallo storico romano di età augustea Tito Livio (che rimane pressoché l’unica fonte storica relativa a questo periodo). Il problema di Livio è che la sua storia di Roma Ab Urbe Condita era un’opera sostanzialmente celebrativa, un po’ come l’Eneide ma in prosa, quindi le storie che ci tramanda non sono affidabili al 100% e molto spesso sono miti e leggende.

Numa Pompilio (NVMA POMPILIVS)

Secondo la tradizione, a Romolo, morto secondo la leggenda durante un temporale e assunto in cielo come un dio (tant’è che successivamente verrà adorato come tale, assumendo il nome di Quirino), successero altri sei re, per un totale di sette (i leggendari sette re di Roma), fino al 509 a.C., anno in cui sarebbe stato deposto l’ultimo re e instaurata la repubblica. I primi quattro re, Romolo compreso, erano di stirpe latino-sabina, mentre gli ultimi tre erano di origine etrusca. In realtà, molto probabilmente, i re furono molti di più, anche perché facendo un rapido calcolo scopriamo che tutti i re hanno regnato in media quarant’anni ciascuno e sono morti quasi tutti ottuagenari, un dato molto irrealistico per l’epoca.

Il successore di Romolo fu, secondo la tradizione, Numa Pompilio, di stirpe Sabina. Numa è ricordato come un re pacifico e per aver dato origine a tutti i principali caratteri della civiltà romana: a lui si deve l’invenzione del calendario romano a 12 mesi e 365 giorni, la creazione delle principali istituzioni religiose (le feste, i vari collegi religiosi e il culto della Triade Capitolina) e l’istituzione dei valori morali tradizionali del mos maiorum.

La sua esistenza, come per altro quella del suo predecessore, non è sicura al 100%: molti storici infatti credono che la sua sarebbe stata una figura principalmente simbolica, la figura di un re santo e filosofo che sarebbe servita per civilizzare Roma dopo gli anni di guerra e disordini del regno del guerriero Romolo. Ad avvalorare questa tesi, l’etimologia del nome: Numa deriverebbe dal greco Νομός (Nomós, che vuol dire legge), mentre Pompilio da πομπἠ (pompé, che sarebbe l’abito dei sacerdoti. Anche se secondo altre fonti deriverebbe dalla radice indoeuropea pomp/funf che indica il numero cinque), anche il nome Numa potrebbe essere collegato alla religione, in quanto potrebbe discendere dal sostantivo latino Numen che significa appunto ‘Dio’.

Tullo Ostilio (TVLLVS HOSTILIVS)

Il successore di Numa Pompilio sarebbe stato il latino Tullo Ostilio, scelto per l’alternanza latino-sabina. Questo re viene ricordato come un re militare, una replica del primo Romolo con cui condivide il popolo di appartenenza: sotto il suo regno, infatti, avvengono le prime vittoriose campagne di guerra contro i popoli del Lazio e nel suo regno sarebbe avvenuto il leggendario e emblematico scontro tra i tre fratelli Orazi (romani) e i tre fratelli Curiazi, originari della città di Albalonga, da cui proveniva Romolo. 

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La leggenda narra che i rapporti tra le due città, in origine amichevoli, si erano incrinati vertiginosamente fino a quando entrarono in guerra tra di loro. Siccome gli scontri imperversavano violentissimi e parevano non finire più, le due città decidono di risolvere la guerra con un duello: si sarebbero sfidati tre rappresentanti di Albalonga (i fratelli Curiazi) e tre fratelli di Roma (gli Orazi), la “squadra” che avesse vinto avrebbe assicurato il dominio del Lazio alla sua città. Nonostante i primi stessero per avere la meglio, dal momento che avevano ucciso due dei tre fratelli Orazi, l’ultimo rimasto dei tre, con un atto di eroismo estremo, riesce da solo a prevalere sugli avversari e ad ucciderli, consegnando la vittoria a Roma. Il re di Alba, tale Mezio Fufezio, però, successivamente, in occasione della battaglia presso Fidenae, rompe il foedus (il patto) che legava la sua città in alleanza a Roma e decide di schierarsi addirittura dalla parte opposta. Quanto Tullo Ostilio lo viene a sapere, dopo aver vinto la battaglia, lo cattura e ordina che venga squartato e la sua città rasa al suolo. Insomma, una personcina veramente a modo, non trovate?

 Numa Anco Marcio (NVMA ANCVS MARCIVS)

A Tullo Ostilio, secondo la leggenda morto dopo che un fulmine scagliato da Giove per punirlo della sua superbia si era abbattuto su casa sua, succede Anco Marcio (o Marzio). Sabino e imparentato con Numa Pompilio (era figlio di sua figlia Pompilia), come il nonno viene ricordato per essere stato un re pacifico, religioso e civilizzatore. Anche di lui, come per il resto di tutti gli altri re, non siamo certi della sua esistenza e anche lui, come il nonno, sembrerebbe essere una figura idealizzata. Nel suo nome completo, infatti, compare il praenomen del nonno, Numa, che starebbe a significare quasi che la figura di Anco Marcio non sia nient’altro che una figura il cui destino sarebbe quello di continuare l’opera lasciata incompiuta dal nonno: mentre Tullo Ostilio, latino e guerriero, doveva completare l’opera di Romolo e cioè distruggere Albalonga e assoggettare tutto il Lazio, Anco Marcio avrebbe dovuto completare l’identità del popolo romano e la sua civilizzazione.
Sotto il suo regno, vennero realizzate importanti opere pubbliche atte a rendere Roma una città perfetta sotto tutti i punti di vista. All’inizio dovette però combattere per difendere la sua città dalle incursioni dei Latini, completando le operazioni militari lasciate incompiute dal suo predecessore. A guerra finita riuscì a occupare l’Aventino, su cui deportò gran parte dei prigionieri delle guerre appena concluse, e il Gianicolo, dove mise le basi per il culto del dio Giano. Oltre a questo, viene ricordato soprattutto per aver gettato le basi della futura potenza commerciale Romana: vicino alle saline che tanto erano desiderate dagli altri popoli che abitavano nelle vicinanze, Anco fondò la città di Ostia, che sarebbe diventata il principale porto della città di Roma. Collegò la nuova città alla capitale mediante la via Ostiense, che avrebbe reso più semplice il trasporto delle merci giunte via mare e del sale. Sfruttò anche la “strada acquatica” del Tevere, costruendo a Roma un porto fluviale e mettendo in piedi il primo ponte della città, il Ponte Sublicio. 
Per aver costruito il primo ponte di Roma, Anco Marcio verrà ricordato con l’epiteto di Pontifex, “Pontefice”, che in latino significa letteralmente “costruttore di ponti”. Dal momento che era anche a capo dei principali collegi religiosi, egli chiamò anche tutto il principale collegio di sacerdoti “pontefices”, riservandosi la carica di “pontifex maximus”, che di lì in poi sarebbe stata appannaggio di tutti i re successivi fino a quando sarebbe stata in piedi la monarchia, in seguito sarebbe passata ai consoli e quindi all’imperatore.

Lucio Tarquinio Prisco (LVCIVS TARQVINIVS PRISCVS)

Lucio Tarquinio detto il Prisco (soprannome affidatogli post mortem per distinguerlo dall’omonimo figlio e successore Lucio Tarquinio, il quale verrà ricordato con il soprannome “il Superbo”) era un nobiluomo etrusco della città di Tarquinia. Il suo nome originale era Lucumone, ma quando si trasferì a Roma a causa delle malelingue che correvano sul suo conto a Tarquinia (veniva osteggiato per le sue origini greche), preferì optare per il più latino Lucio Tarquinio. Tarquinio è stato il quinto re di Roma, il primo della dinastia etrusca dei Tarquinii.
Tarquinio Prisco sale al trono di Roma dopo la morte di Anco Marcio, eletto dal Senato in quanto suo successore. Appena diventato re, deve subito fare i conti con le incursioni dei Sabini, dei Latini e degli Etruschi di Chiusi, Arezzo e Volterra. Vinte queste battaglie, grazie ai guadagni ottenuti, Tarquinio riesce a realizzare delle opere pubbliche fondamentali per la modernizzazione di Roma: inizia a erigere una cinta muraria, ma poi abbandona il progetto e le mura verranno messe in piedi dal suo successore, costruisce il Circo massimo per intrattenere la popolazione e inizia la costruzione di un’opera fondamentale, la prima del suo genere nel mondo antico occidentale: un sistema fognario, la Cloaca Maxima. Anche se si occupò di riformare l’esercito, Tarquinio Prisco viene ricordato come un re pacifico e in generale come un gran re. 
Dal momento che dietro a ogni grande uomo si nasconde sempre una grande donna, è doveroso ricordare la leggendaria figura della sua consorte Tanaquilla: nobildonna etrusca abile nell’arte del leggere gli auspici. È grazie a lei se Tarquinio è diventato re: è stata lei a predirgli il suo glorioso destino e a scegliere per il meglio chi gli sarebbe dovuto succedere. Ella riteneva che il più adatto a diventare re era suo genero Servio Tullio, che riteneva molto più adatto del figlio Lucio Tarquinio, il quale comunque diventerà re lo stesso.

Servio Tullio (SERVIVS TVLLIVS)

Tarquinio Prisco muore in seguito a una congiura ordita dai figli di Anco Marcio, ancora irritati per il fatto che il Senato abbia scelto uno straniero al posto loro. Con il re tolto di mezzo uno di loro non avrebbe avuto problemi a diventare re, tuttavia Tanaquilla suggerisce al Senato il nome di Servio Tullio, suo genero, un personaggio che meglio di chiunque altro avrebbe “portato in testa” la corona di Roma. E Servio non delude le sue aspettative.
Servio Tullio, molto probabilmente mai realmente esisto, secondo la leggenda nasce da una serva etrusca deportata in seguito a una delle conquiste del suo predecessore e condannata a servire il re Tarquinio Prisco. La regina Tanaquilla, che lo vede crescere, si rende subito conto delle sue qualità e quando raggiunge l’età più adatta, gli da in sposa sua figlia e fa pressione sul Senato in modo che alla morte di suo marito, Servio venisse eletto re. 
Viene ricordato come un grande re, forse come il più grande: oltre a dotare la città di una cinta muraria, egli riforma profondamente la società romana dividendo la popolazione in tribù e in classi sociali in base al redditto, riformando di conseguenza l’esercito e i comitia del popolo. Oltre a questo, Servio Tullio attua anche una pesante opera di urbanizzazione e rende Roma una città efficientissima e moderna, che rimarrà pressoché invariata fino all’età imperiale. Continua l’opera di espansione territoriale portata avanti dai suoi predecessori, ma in misura minore.

Lucio Tarquinio il Superbo (LVCIVS TARQVINIVS SVPERBVS) e la fine della monarchia.

A Servio Tullio succede Lucio Tarquinio detto il Superbo. Tarquinio prende il potere con la forza, senza l’approvazione del senato, eliminando il suo predecessore con l’aiuto della figlia maggiore di Tullio, chiamata in un impeto di fantasia Tullia Maggiore. Questo ultimo re viene citato dalla storiografia come un tiranno sanguinario e spietato, bellicoso e assolutista, anche se molti storici soprattutto in epoca più moderna sembrano rivalutare la sua figura. Quello che è certo è che dopo la sua cacciata, avvenuta intorno al 509 a.C. finisce la storia della roma monarchica e inizia quella della roma repubblicana.
Sotto il suo regno, grazie all’enorme quantità di denaro ricavate dalla vittoriosa guerra contro i Volsci, riesce a completare la costruzione della Cloaca Maxima iniziata dal padre e costruì sul colle Capitolino il grande tempio dedicato a Giove Ottimo Massimo. Le sue politiche assolutistiche (voleva che la carica di re a Roma diventasse ereditaria, mentre prima era elettiva), però, lo mettono in cattiva luce nei confronti del senato e del popolo di Roma. 
In Livio si legge che era talmente odiato dal Senato, che aspirava a instaurare un governo oligarchico aristocratico, che questi erano in costante ricerca di un pretesto per farlo fuori. La leggenda racconta che il figlio di Tarquinio, Sesto, si era follemente innamorato di una nobildonna, Lucrezia, moglie del senatore Lucio Collatino: era talmente pazzo d’amore che approfittando dell’assenza del senatore si intrufola in casa sua e la violenta. Questa era la tanto attesa goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso: quando infatti Collatino viene a scoprire tutto ciò dalla diretta interessata, prima che questa si fosse uccisa perché non riusciva a sopportare la grande vergogna per il suo onore violato, denuncia i Tarquinii in senato e questi sono costretti a lasciare la città. L’ormai ex-re trova rifugio presso l’amico Porsenna, re della città etrusca di Chiusi, e gli chiede supporto armato per rientrare in Roma e riprendersi il trono perduto. 
Porsenna riesce da grande stratega a riunire tutti i popoli latini che erano stati assoggettati da Roma e con una potente coalizione armata cinge d’assedio la città eterna. Nonostante la strenua resistenza romana, gli etruschi e i latini riescono per un periodo ad avere la meglio. I Romani, però, grazie alle gesta eroiche di Orazio Coclite (che da solo ferma l’intera armata etrusca sul ponte Sublicio) e Muzi Scevola (che riesce a infiltrarsi nel campo nemico e una volta scoperto si brucia la mano davanti al re Porsenna, da cui il detto “mettere una mano sul fuoco”), riescono ad allontanare definitivamente gli etruschi dalla città. Il senato, nel frattempo, elegge consoli per l’anno 256 ab Urbe Condita (il 509 a.C.)  i senatori Giunio Bruto e Tarquinio Collatino. Lucio Tarquinio nel frattempo era fuggito presso Aristodemo, tiranno della città greca della Campania Cuma, dove morirà nel 495 a.C.
La storia però non è convinta su questa leggenda: Porsenna in realtà sarebbe riuscito a conquistare Roma e l’avrebbe governata per qualche mese, salvo poi non considerare vantaggiosa la città e andarsene. La storia non si fa con i se e con i ma, ma se Porsenna avesse capito appieno l’importanza strategica di Roma e vi fosse rimasto, probabilmente avremmo avuto una storia di Roma completamente diversa da come la conosciamo: sarebbe diventata una città etrusca e probabilmente non avrebbe mai fondato un impero e oggi noi parleremmo tutta un’altra lingua, derivata dall’etrusco. Fortunatamente, però, ciò non è mai avvenuto e una volta allontanato Porsenna, a Roma viene instaurata la repubblica.

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