Riassunto della vita e delle opere di Francesco Petrarca, il primo vero autore dell’Umanesimo e uno dei padri della lingua italiana.

Petrarca rappresenta insieme a Dante, e insieme a Virgilio la storia della letteratura italiana intesa in senso stretto, come coloro che hanno dato vita alla letteratura italiana stessa. Tant’è che l’italiano è stato “inventato” proprio da Petrarca e da Dante. Tutti i personaggi della letteratura italiana che si sono susseguiti a questi due hanno continuato il loro lavoro straordinario. Petrarca era un genio, fu un vero e proprio innovatore del suo tempo, non solo fu uno dei padri dell’italiano, ma fu il primo scrittore italiano umanista.

Francesco Petrarca: Vita e formazione

Francesco Petrarca riassunto


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Petrarca nasce ad Arezzo nel 1304 ma nel corso della sua giovinezza si sposterà parecchio, costretto a seguire i lunghi spostamenti del padre, un notaio fiorentino in esilio. Questi spostamenti lo portano dapprima nelle maggiori città toscane poi ad Avignone, nella Provenza.

Studia materie giuridiche prima all’università di Montpellier e successivamente a Bologna. Scoprendo però ben presto che la strada giuridica non era la sua, si dedica appassionatamente allo studio dei grandi scrittori latini, cosa che farà di lui il primo intellettuale umanista.
Assicuratosi una rendita con l’acquisizione degli ordini minori, può permettersi di viaggiare per tutta l’Italia e l’Europa, per poi stabilirsi definitivamente presso Padova dove morirà nel 1374.

Francesco Petrarca riassunto: Le Opere

La maggior parte delle sue opere sono scritte in latino: le più importanti sono il poema Africa, scritto in esametri come gli antichi poemi epici e riguardante le vicende della Seconda Guerra Punica; l’Epistolario, una raccolta di lettere indirizzate ad amici, letterati, politici ma anche lettere immaginarie indirizzate agli autori latini e il Secretum, dialogo immaginario tra Francesco e sant’Agostino in cui il poeta analizza il proprio animo, diviso a metà tra i beni terreni e l’aspirazione celeste.
La sua opera più famosa è però il Canzoniere, il cui titolo originale è “Rerum Vulgarium Fragmenta”. Si tratta infatti della prima opera in volgare del poeta, una raccolta di 366 poesie (una per ogni giorno dell’anno con l’aggiunta di una poesia introduttiva) trattanti principalmente argomenti amorosi, dedicati in particolare a Laura, donna di cui Petrarca si innamora perdutamente dopo averla vista per la prima ed unica volta in una chiesa di Avignone durante la settimana santa del 1327.

Lo Stile di Petrarca


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Il linguaggio con cui Petrarca scrive è quasi sempre essenziale e misurato, perché secondo lui spesso i risultati poetici più alti si ottengono usando parole semplici e spontanee; ciò però non significa che le sue poesie non siano elaborate, anzi, la spontaneità del Petrarca è frutto di una lunga e attenta ricerca espressiva.

Se paragoniamo la poetica di Petrarca con la Divina Commedia di Dante, notiamo che Dante si esprime con un linguaggio molto vario, passando tranquillamente da un linguaggio popolare ad uno dotto. Basti pensare che alla fine del canto XXI dell’Inferno, Dante scrive un verso dalla popolarità emblematica: riferendosi infatti ad uno dei Malebranche, i diavoli che presidiano la bolgia dei Barattieri all’interno di Malebolge, dice che “elli avea del cul fatto trombetta”; qualche verso più tardi scriverà “l’amor che move ‘l sole e l’altre stelle”…
Petrarca, invece, libera il linguaggio di Dante dai suoni duri e realistici dando vita a forme talmente armoniose, musicali ed eleganti che costituiranno un modello per tutti i poeti dei secoli successivi.

Una poesia: “Solo et pensoso”

In questo famoso sonetto tratto dal Canzoniere compaiono alcuni temi ricorrenti della poesia di Petrarca: la ricerca della solitudine, il contatto con la natura, il pudore dei sentimenti. La poesia recita così:
Solo et pensoso i piú deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l’arena stampi.
Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:
sì ch’io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.
Ma pur sí aspre vie né sí selvagge
cercar non so ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co’llui.

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